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Questo libro (vincitore del Premio “Paolo Borsellino” 2015) riporta otto storie d’oggi, scritte in prima persona da chi è stato vittima del prepotente di turno. Otto voci, dietro le quali non è raro trovare il volto di un reporter “precario” che rischia di persona, alla stregua di un inviato su un fronte di guerra. C’è la giornalista che ha subito intimidazioni, a causa delle sue inchieste sulle infiltrazioni della criminalità in alcuni comuni del Nord Italia; e chi ha dovuto conteggiare una serie di azioni giudiziarie, in sede civile e penale, per un articolo pubblicato da un quotidiano locale, per il quale lavorava, entrato poi in crisi. Mentre il direttore di un web-magazine vive sotto scorta, dopo aver subito minacce e intimidazioni, per la pubblicazione di alcuni articoli sulla criminalità.
Sugli autori di queste pagine (non a caso tutti giovani e motivati) , il Procuratore Lepore scrive che hanno avuto coraggio. Quel coraggio di ribellarsi che – parafrasando il dialogo tra don Abbondio e il cardinale Federigo Borromeo – “se uno non lo ha, non lo può certo inventare”.
A conclusione del suo intervento, il Procuratore Lepore ricorda le parole del Presidente del Senato, Pietro Grasso, pronunciate, nel luglio 2015, in occasione della conferenza internazionale promossa da “Ossigeno per l’informazione” e dal Centro europeo per la Libertà di stampa e dei media di Lipsia, sul tema “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”: «Un giornalismo fatto di verità impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere».