Se non fossero direttamente attribuite al segretario generale della Fnsi, le dichiarazioni di Franco Siddi, a proposito della riforma dell’Ordine, finirebbero catalogate fra le chiacchiere in libertà, scarsamente informate e velleitariamente inconcludenti. Il fatto che provengano dal vertice del sindacato dei giornalisti le colloca, invece, fra le provocazioni, destinate a produrre contraccolpi rilevanti, forse a vanificare o, quasi certamente, a complicare le infinitesime opportunità che oggi esistono di ottenere una significativa riforma legislativa che ci riguardi.
Che sia questo il fine – scopertamente demagogico – dei “consigli” di Franco Siddi?
Dopo discussioni che ci hanno impegnati per una ventina di anni, dodici dei quali trascorsi per elaborare un progetto condiviso, denominatore comune delle istanze più significative della nostra complicata categoria, si è arrivati a un testo di legge firmato da parlamentari che militano in schieramenti diversi e, talvolta, aspramente antagonisti. Un buon viatico per ottenere dei risultati concreti se, dal sommo della sua carica, il segretario del potente sindacato nazionale, finalmente libero da impegni cogenti, avendo appena chiuso il delicato compito sul contratto di lavoro, non comunicasse che la nostra riforma così concepita non va bene, che occorre dell’altro, che è tutto sbagliato e tutto da rifare. Anche scontando qualche contraddizione in materia: Siddi, per l’Ordine, vorrebbe dodici consiglieri nazionali (nemmeno uno per regione) ma gli vanno bene i 200 (fra consiglieri, revisori, probiviri) della Fnsi che dirige.
Al di là delle sue proposte che, nel concreto, risulterebbero irrealizzabili resta il fatto che i parlamentari più impegnati nel tenere in conto le nostre esigenze avranno la tentazione di chiamarsi fuori per evitare di inciampare in polemiche che li coinvolgerebbero direttamente. Per ottenere – fintamente – l’ottimo, si corre il rischio di rinunciare anche al buono.