Ogni Consiglio vigila per la tutela del titolo di giornalista, in qualunque sede, anche giudiziaria, e svolge ogni attività diretta alla repressione dell'esercizio abusivo della professione. Tale attribuzione, si ricollega direttamente alla natura di organismo rappresentativo dell'Ordine, a sua volta preposto alla tutela di tutti gli interessi pubblici, oggettivamente immanenti, della categoria professionale. Al detto potere di tutela "a valenza esterna" si accompagna quella sfera di attribuzioni direttamente connesse alla peculiare natura dell'Ordine (che è quella di garantire l'osservanza delle norme di etica professionale); questa natura si ricollega al peculiare potere di tutela a "valenza interna", nella sua applicazione di solo appartenenti all'Ordine.
Pertanto, ogni Consiglio "vigila sulla condotta e sul decoro degli iscritti" e può adottare provvedimenti disciplinari nei confronti di coloro che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro o alla dignità professionale, o di fatti che compromettano la propria reputazione e la dignità dell'Ordine.
Le sanzioni sono:
- l'avvertimento: viene inflitto nel caso di abusi o mancanze di lieve entità e consiste nel richiamo del giornalista all'osservanza dei suoi doveri (art. 52 L. n. 69). Il provvedimento può anche essere disposto dal Presidente oppure conseguente ad un giudizio disciplinare;
- la censura, è connessa ad abusi o mancanze di grave entità e consiste nel biasimo formale per la trasgressione accertata;
- la sospensione dall'esercizio professionale può essere inflitta nei casi in cui l'iscritto abbia compromesso, con la sua condotta, la propria dignità professionale;
- la radiazione è diretta a sanzionare la condotta dell'iscritto che abbia gravemente compromesso la dignità professionale sino a renderla incompatibile con la permanenza nell'Albo. La legge prevede la reiscrizione, su domanda dell'interessato, trascorsi cinque anni dal giorno della radiazione.
C'è da chiedersi se la mancata previsione di fattispecie tipiche di illecito disciplinare esponga il giornalista, alla censura sulla sua attività di giornalista.
La Corte Costituzionale con la Sent. n.11 del 1968, escludendo che il potere disciplinare possa risolversi in una forma di sindacato sul contenuto degli scritti del giornalista, ha affermato che l'intera materia trova un limite nell'art. 2 della legge n. 69, intendendo implicitamente che le fattispecie di illecito disciplinare vadano costruite in relazione alla violazione degli obblighi "deontologici" posti da detta disposizione.
Diritti e doveri del giornalista (di cui all'art. 2) costituiscono il parametro di correttezza, obiettività e completezza informativa la cui violazione nell'ambito di una attività "professionale", e solo limitatamente a tale ipotesi, comporta l'esercizio da parte dell'Ordine del potere sanzionatorio pubblico. Tale potere giustifica non solo l'esistenza dell'Ordine, ma anche la sua funzione al servizio di una corretta e veritiera informazione concepita come diritto dei singoli e della collettività.