Il 28 maggio 1980 venne spezzata la penna di Walter Tobagi, 33 anni, giornalista del Corriere della Sera, docente universitario e presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Venne ucciso sotto casa, a Milano, alle 11 di una piovosa mattina: lì ad attenderlo c’era un commando armato di 5 uomini della Brigata 28 marzo, Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano.
Walter era un giornalista all’avanguardia ‘scomodo’ e quindi da eliminare con 5 colpi di pistola. I suoi aguzzini – terroristi di estrema sinistra della “Brigata 28 Marzo”, alcuni dei quali figli di famiglie della borghesia milanese – dopo qualche mese di indagini vengono identificati e processati.
Il maxi-processo si tiene al Tribunale di Milano, inizia il primo marzo 1983 e si conclude il 28 novembre dello stesso anno. Un terrosista del commando, Marco Barbone, (figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni e quindi legato agli ambienti giornalistici) viene arrestato il 25 settembre del 1980 e decide di collaborare con gli inquirenti: grazie alle sue rivelazioni viene smantellata l’intera Brigata 28 marzo e a far arrestare un centinaio di sospetti terroristi di sinistra. A fine processo, ci fu una grande polemica per le condanne inflitte ai terroristi: Barbone (che esplose il colpo mortale a Tobagi) e Morandini, in quanto ‘collaboratori di giustizia’ vengono condannati a 8 anni e 9 mesi seguiti, dopo 3 anni di detenzione, dalla libertà provvisoria; Marano – che confessò il delitto – viene condannato a 20 anni e 4 mesi, ridotti per la sua collaborazione a 12 anni in appello; De Stefano è condannato a 28 anni e 8 mesi, muore in carcere nel 1984 perché colpito da aneurisma; Laus a 27 anni e 8 mesi, diventati 16 anni in secondo grado, dal 1985 rimesso in libertà provvisoria; infine Giordano, che non ammise mai le sue responsabilità, viene condannato a 30 anni e 8 mesi, divenuti 21 anni in appello. È stato l’unico del commando a scontare l’intera pena.