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Cento passi per la legalità, un importante appuntamento per la lotta alla criminalità

10/03/2009
Non sarà, quello di sabato 21 marzo, a Napoli, l’ultimo dei “cento passi” verso la legalità. L’impegno sociale, il dovere morale di ciascun cittadino di lottare tutte le mafie e ogni forma di criminalità, dovrà continuare per far sì che diventi parte della coscienza di tutti. Alle ore 9, partendo dalla Rotonda Diaz, in via Caracciolo, ci sarà la manifestazione organizzata dalle associazione che si riconoscono in Libera di don Luigi Ciotti. Un incontro voluto in una città che soffre più di altre l’arroganza di una criminalità che mortifica i tanti cittadini perbene, la stragrande maggioranza.
L’Ordine dei giornalisti è stato affianco agli organizzatori. Non solo perché uno dei momenti più intensi di questo percorso è stato dedicato al ricordo di Giancarlo Siani, il giovane cronista assassinato dalla camorra, ma anche perché sul terreno della legalità i giornalisti si sentono impegnati senza esitazione alcuna, senza distinguo sottili, senza indulgenze. E senza distrazioni perché in questo campo essere distratti significa trasformarsi in complici di chi uccide le speranze di crescita sociale sana e di uno sviluppo economico del Paese che offre opportunità reali ai cittadini.

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Il 21 marzo, a Napoli, sarà il giorno giusto per testimoniare impegno civile. Le Associazioni che si riconoscono in Libera di don Luigi Ciotti organizzano una manifestazione a conclusione di un lungo percorso di sensibilizzazione sui doveri dei cittadini nella lotta alle criminalità. Un’azione senza soste che ha vissuto una tappa lunedì 9 marzo nel salone dell’Ordine dei giornalisti a Napoli. La scelta della sede non è stata casuale. E’ stata finalizzata a testimoniare che sul terreno della legalità i giornalisti si sentono impegnati senza esitazione alcuna, senza distinguo sottili, senza indulgenze, senza distrazioni. Sono, in sostanza, da una parte sola: quella dei cittadini che onorano con il sacrifico dell’ impegno quotidiano il loro dovere sociale.
L’appuntamento nella sede dell’Ordine è stato uno dei “Cento passi verso il 21 marzo” giorno in cui a Napoli, con partenza dalla Rotonda Diaz in via Caracciolo alle ore 9, ci sarà un corteo per dare voce alla voglia di legalità dei cittadini della Campania. L’Ordine nazionale dei giornalisti sceglie di accompagnare la preparazione di questa manifestazione (che sollecita anche un contributo ad una cooperativa anticamorra di Caserta con l’invio di un Sms al numero 48544) pubblicando alcuni interventi a cominciare da quello di Lirio Abbate.
 
Cardinale Crescenzio Sepe – 19 marzo 2009

La Chiesa di Napoli, accoglie con un abbraccio fraterno e carico di speranza i tanti familiari delle vittime innocenti che da ogni parte d’Italia verranno a fare memoria dei loro cari. Allo stesso tempo essi si confronteranno con tutto l’impegno che c’è da parte di realtà laiche e cattoliche a favore della legalità e della giustizia. Questo impegno è uno dei tanti segni che il Signore Gesù, la Vittima Innocente, è Risorto.
La nostra Chiesa partecipa alla realizzazione di questo vasto movimento di persone che si interrogano in questo 21 marzo, giornata della memoria e dell’impegno in onore di tutte le vittime di mafia. Come Chiesa, desideriamo sentirci corresponsabili nella costruzione di un mondo giusto, buono e bello. Ci chiediamo allora, cosa vuol dire per noi credenti sostenere le ragioni proposte dal tema della XIV Giornata, nella quale si afferma che l’etica libera la bellezza.
Desidero commentare questa espressione, attraverso un’immagine “simbolica”, che potrebbe risultare utile a noi tutti, a partire dalla nostra Chiesa di Napoli. Andando indietro nel tempo, ricordo le città circondate da grandi mura. Servivano per difendere gli abitanti da attacchi esterni. Ma non sono le mura che interessano. Anzi, esse richiamano separazione, paura e, qualche volta, anche intolleranza. Penso invece con simpatia alla funzione delle sentinelle. Su quelle mura oggi a vegliare e custodire le nostre città metterei almeno due sentinelle. Una, la chiamerei la sentinella della memoria. Fare memoria di coloro che hanno dato la vita per la pace e la giustizia, vuol dire da una parte non perdere mai il senso dell’indignazione verso ciò che è ingiusto e dall’altra elaborare quella giusta gratitudine che dobbiamo rivolgere a Dio e ai nostri cari fratelli e sorelle che si sono “sacrificati” per noi. L’altra invece, è la sentinella della speranza. La tradizione biblica ci ricorda una domanda che nell’antichità veniva rivolta dai viandanti alle sentinelle della città, quando giungevano nel cuore della notte. Ce lo ricorda il profeta Isaia: <<Sentinella quanto resta della notte? (Isaia 21,11). Anche noi, uomini e donne di questa Chiesa, come tutti voi, che venite a “celebrare” la memoria delle vittime innocenti delle mafie, ci siamo posti la domanda quanto resta della notte? Ebbene, la Chiesa di Napoli, desidera essere la sentinella che scruta all’orizzonte e oltre la notte vede l’alba che irrompe. “La sentinella risponde: "Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!" (Isaia 21,12). Questo il nostro compito di Chiesa, in questi giorni della memoria; e, quando finirà questa celebrazione: ricordare a noi tutti che resta poco della notte. L’alba irrompe se noi ci convertiamo, se facciamo diventare la nostra vita un segno visibile di quel Dio che, nella Persona di Gesù, risorge per la nostra salvezza. La salvezza di tutti, nessuno escluso.
‘A Maronna ci accupagna ! Vi abbraccio e vi benedico tutti.
 
Renato Scarpa, attore – 18 marzo 2009
 
Sono commosso. Sto pensando a Primo Levi, al suo “Se questo è un Uomo”. Là dove dice che “loro” che venivano dal Lager dove la morte del compagno di cuccetta significava poter possedere il suo cucchiaio, sono stati “salvati”, nella fabbrica dove li mandavano a lavorare, dall’operaio civile, non solo perché divideva con loro la sua razione di cibo ma soprattutto dalla Bellezza del suo “gesto” che restituiva loro la “dignità” di sentirsi esseri umani e la Speranza di poter ancora credere nella Bontà dell’Uomo. Mi chiedo cosa ci sia di più bello del “gesto” di chi asciuga la lacrima di un altro. Questo mi fa pensare che l’Etica non solo liberi la Bellezza ma sia Bellezza.
Il Cardinale Martini dice che la Bellezza ci Salverà. Peppino Impastato diceva che non dobbiamo assuefarci al Brutto, ma dobbiamo lottare per la Bellezza, cercarla, coltivarla, indicarla, farne il nostro obbiettivo. La Bellezza di un cielo stellato è luce che sconfigge il Buio.
“Coraggio, abbiate fiducia figlioli” - diceva Vittorio Emanuele Orlando in piena guerra - “più scuro che a mezzanotte non può venire”. E’ la Bellezza, come l’alba dopo la notte fonte di Speranza che nutre lo Spirito come una brezza gentile che ci accarezza e ci regala il tepore della tenerezza.
 
Aldo Masullo, filosofo – 18 marzo 2009
 
Ricordare è il diritto del presente. E’ il sapere oggi d’essere in credito con la storia di ieri e in debito con il destino di domani. La storia, fatta dagli uomini, non è fino ad oggi riuscita a produrre le condizioni necessarie a soddisfarne i bisogni supremi, che sono la libertà della potenza giusta e la gioia della perfetta bellezza. Infatti la potenza se non è giusta non è libertà, e la bellezza se non è perfetta non è gioia. Il presente ha il diritto di ricordare per prendere piena coscienza del suo credito, capire quel che nel passato gli uomini avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. Il che tanto più risalta e scuote, quanto più attentamente si ricordano sia le vittime delle altrui inadempienze sia l’eroismo di coloro che, nonostante la loro debolezza d’incompresi, osteggiati e per lo più isolati, hanno lottato senza risparmio di sé per fare quel che si doveva.
Non ricordare è viltà dinanzi agli inutilmente patiti dolori e ai sacrifici coraggiosamente affrontati nel passato, ma è soprattutto stoltezza di un presente che rinuncia al proprio diritto fondamentale. Per esempio, se gli uomini sono cittadini e non sudditi, e nello Stato hanno non il padrone, ma l’esecutore del loro contratto costituzionale, del loro pattuito impegno a sostituire l’esercizio dell’arbitrio privato (diseguale) con la pubblica (eguale) difesa della vita e della libertà di tutti, ricordare le vittime di mafie e camorre e trame stragiste, vuol dire armare la civile contestazione contro lo Stato inadempiente e, al limite, traditore del giuramento fondativo.
Il presente peraltro è in debito verso il futuro. Esso è responsabile di quanto fa o non fa per la libertà e la gioia degli uomini che verranno.
Etica è l’ininterrotta tensione del presente che, esercitando il diritto del ricordo contro gli insoluti debiti del passato e il dovere di onorare i crediti del futuro, si libera dalla viziosa ripetizione dei vecchi errori e permette alla bellezza dello spirito di finalmente manifestarsi nella forza pacifica del suo splendore. Questo i versi di Schiller e le note di Beethoven cantano nella coralità dell’ ”Inno alla gioia”.

Luigi Lo Cascio, attore – 17 marzo 2009

E non se la sentiva il sole di scaldare scheletri di spighe o grappoli svuotati. Così si ritraeva dietro la prima nuvola che oscura proiettava il buio sul terreno. E l’acqua dell’inverno preferiva mantenersi inerte e incorporata al cielo piuttosto che precipitare su quel suolo usurpato e sottratto agli uomini dai pochi ma forti e terribili spiriti  di morte che avevano così rubato persino l’armonia delle stagioni.
Desolata terra, landa di sterminata assenza di ogni forma di respiro o movimento, foss’anche di larva d’insetto o di germe invisibile, niente che nemmeno da lontano somigliasse alla vita in quel paesaggio lugubre e remoto. Più atroce di mille guerre, una calamità dovunque intorno incendiava l’aria e più non era chiara la differenza tra zolla di terra e  ammasso di carbone. Ma quando giunsero le mani, mani normali perché, alla lettera, sospinte dall’impulso gioioso ad obbedire a norme e canoni che la natura stessa pareva suggerire, allora il caos incominciò a ritrarsi e diede luogo all’ordine supremo della misura e dell’incanto. Le vigne e il grano soprattutto, insieme ad altri frutti e agli ulivi, tornarono a premiare rigogliosi la fatica e il travaglio dei giusti. Non era più la stessa terra. Prima era terra ruvida, infeconda, terra maligna, incatenata e scarna. Adesso ritornava libera terra ed arca di bellezza.

Antonio Maruccia, Commissario del Governo per i beni confiscati – 17 marzo 2009

Il suggestivo tema ispiratore della XIV giornata della memoria “L’etica libera la bellezza”esprime molto bene l’impegno delle persone  che  lavorano per restituire alla comunità i beni che le mafie e la criminalità hanno sottratto con la violenza, la corruzione e la sopraffazione. Scoprire la bellezza dei terreni confiscati coltivati dai giovani delle cooperative è possibile perché tanti uomini, prima di loro, nelle istituzioni e nella società, hanno vissuto eticamente il loro impegno di cittadinanza. L’impegno per la giustizia attraverso il rispetto della legge: ecco, il lavoro giusto che  porta  i frutti di legalità.
Quella legalità che vuole la nostra Costituzione, quella che permette di superare le disuguaglianze,che offre agli ultimi opportunità per diventare primi. Nulla è regalato, solo le azioni  buone portano il bello. Liberarsi delle mafie per affermare il bello di una azienda che produce calcestruzzo grazie all’impegno dei lavoratori, al sostegno di un Prefetto, alla lungimiranza di alcune istituzioni pubbliche, alla “testardaggine” di un’associazione.
Libera la bellezza che è dentro di te nell’impegno di ogni giorno per gli altri. Questo il messaggio che io vedo nel tema della XIV Giornata. Per vincere l’idea che le mafie sono ineliminabili. Perché si può sconfiggere il brutto di un grande palazzo abusivo  che viene giù nella legalità e restituisce la bellezza del mare agli occhi dei cittadini. Per vedere nascere un museo archeologico nell’immobile confiscato ad un capo della ndrangheta. Per convertire le ricchezze delle mafie in occasioni di lavoro, di sviluppo, di crescita culturale. Per trasformare i luoghi che servirono al delitto e ai soprusi, in luoghi  del diritto, del riscatto della dignità . La bellezza soffocata dalla nostra terra aspetta di essere liberata dall’impegno di tutti noi.

Antonio Ghirelli, scrittore – 16 marzo 2009
 
L’adesione alla quattordicesima giornata della memoria e dell’impegno per tutte le vittime delle mafie è tanto più sentita e indispensabile, in quanto appare sempre più evidente l’immenso danno che la criminalità organizzata  arreca non solo alle creature sacrificate alla sua sete di sangue e di denaro, ma all’intera comunità, nella misura in cui non solo si sottrae ai doveri che ogni imprenditore ha nei confronti dell’erario, ma mira sistematicamente a corrompere i rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionale per garantirsi enormi ed illeciti guadagni nella gestione degli appalti e di molti altri servizi. E la corruzione degli amministratori, al di là dell’aspetto criminale del reato si risolve in realtà in un’insidia al funzionamento della società civile e ai diritti dei cittadini, in particolare a quelli meno favoriti dalla sorte che soltanto grazie ai servizi pubblici, dalla sanità agli ammortizzatori sociali, possono sperare di sopravvivere. E’ questo agghiacciante legame tra l’attività della camorra, della ‘ndrangheta e della mafia, e la decadenza della giustizia sociale che i promotori della Giornata della memoria mirano a denunciare, nel momento in cui – grazie alla mobilitazione dei migliori cittadini di ogni regione d’Italia – molti coraggiosi imprenditori soprattutto nel Mezzogiorno sono scesi in campo contro la prepotenza degli squadristi del “pizzo”, fino a mettere a repentaglio la propria vita. Sono soprattutto loro a liberare “la bellezza” in nome “dell’etica”, secondo il tema di questa nostra quattordicesima giornata di memoria e di impegno.
 
Erri de Luca, scrittore – 15 marzo 2009
 
Non ho fede nell'alto dei cieli, ma conosco piccole fedi in terra. Una di queste insiste che nessuno sangue versato è stato e va sprecato: da quello di Abele fino all'ultimo che sempre chiede di essere l'ultimo. Nessuna vita uccisa si perde muta e scompare nella polvere. E' scritto :"Voce dei sangui di tuo fratello sono gridanti verso di me dal suolo".Lo dice la divinità a Caino,primo degli assassini. Il verbo sta al participio presente,"sono gridanti", perché quei sangui gridano e continuano a gridare,all'infinito e a oltranza. Quella storia racconta pure che assassino e vittima sono fratelli, perché di questa parentela biologica stringente è fatta l'umanità.
Credo nella desolazione di Caino,nella sua espulsione da ogni focolare,credo nella sua insonnia che non sta dietro recinti e sbarre,ma lo accompagna ovunque.
Credo ai sangui di Abele, alla loro formula chimica che arrossa il mondo e lo denuncia. Credo alla terra che non può assorbirli parchè non può nasconderne la voce. Nel suo libro sacro Giobbe grida: "Terra non coprirai il mio sangue e non ci sarà luogo per il mio grido": nessun luogo basterà a contenerlo.
Giobbe, rispettato e ricco,perde tutti i suoi beni,i figli e la salute. Sua moglie disperata gli dice di maledire la divinità e morire. Lui non maledice,però chiede conto del suo dolore a quella divinità. Dal fondo della pena e delle piaghe sventola puzzolente il suo "perché?".In lui resiste l'ostinata richiesta di giustizia. Senza di quella non c'è pace dentro una persona e non ce n'è dentro una comunità. Giustizia,contrappeso di torto e ragione, misura di equità, è la premessa di ogni convivenza. Ci vuole garanzia che nessun vantaggio venga da una prepotenza. Che il sangue fatto versare dalle mafie sia senza profitto per loro e indelebile per noi.Che il nome dei mafiosi sia vergogna ,e sia permesso ai figli di ripudiarlo e cambiarlo. Che le celle in cui scontano condanna siano ricoperte di immagini delle persone uccise da loro, che penetrino fin dentro i loro sonni.
Credo a queste fedi terrestri e credo nel risarcimento di Giobbe, scritto in fondo al suo libro.
 
Gigi Di Fiore, saggista – 15 marzo 2009
 
Non c’è bellezza nello sguardo ingordo dei trafficanti di droga, o dei rapaci estorsori alla conta del loro denaro. Non c’è memoria per i nomi e i volti degli assassini. “Prendi un sorriso, regalalo a chi non l’ha mai avuto”:* è eterno invece il viso sincero di Silvia Ruotolo, mamma felice a 38 anni. Bello per sempre, nel ricordo di tutti. Volti orrendi armati di pistole non l’hanno cancellato.
Prendi un raggio di sole, fallo volare là dove regna la notte”: non si è mai spenta la luce che splendeva nelle poesie di Attilio Romanò, a 29 anni sposo innamorato. Non sono riusciti ad annebbiarla i killer assassini e distratti della faida di Scampia.
Scopri una sorgente, fa bagnare chi vive nel fango”: a 48 anni Marcello Torre portava negli occhi la limpidezza dei suoi no, convinto che un rifiuto fosse custode della sua dignità. La sua etica della politica non è stata calpestata dall’arroganza della camorra cutoliana pronta ad ingrassare sulle rovine del terremoto.
Prendi una lacrima, posala sul volto di chi non sa lottare”: Salvatore Nuvoletta aveva solo 20 anni, ma era bellissimo nella sua divisa da carabiniere. Anche un pianto può illuminare il sacrificio di chi è nel giusto. E neanche i killer dei Casalesi, ombre in putrefazione, sono riusciti a farlo dimenticare.
Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla”: anche a 26 anni Giancarlo Siani sapeva già raccontare in profondità con l’agile scrittura da trasmettere agli altri. Restano durature le sue letture di una realtà che voleva migliore, incomprensibili a chi, chiuso nel suo egoismo, disprezza la vita, perso dietro mafiosi disegni di morte.
Prendi la speranza, e vivi nella sua luce”: Kwame, Affun, Christopher, Joseph, El Hadjii, Samuel e Jeemes cullavano nel loro giovane cuore di fratelli africani la speranza di un futuro di luce. Quei sogni spezzati in un piovoso settembre 2008 dalla follia di belve assetate di sangue rendono ancora più limpidi i loro nomi che sembravano difficili da ricordare. Non li dimenticheranno i loro fratelli italiani.
Prendi la bontà, e donala a chi non sa donare”: come solo due ventenni sanno fare. Miopi venditori di morte scambiarono la loro bellezza per disarmonia. Ma il ricordo di Gigi Sequino e Paolo Castaldi continuerà a spandere bontà. Per sempre.
Scopri l’amore, e fallo conoscere al mondo”: correva, correva Paolino Avella sul motorino che i suoi assassini volevano strappargli. Portava dentro l’amore di chi ha solo 17 anni e voleva trasmetterlo al mondo. Come dieci, cento, mille vittime dell’orrore delle armi uccisi da anonimi assassini persi dietro la fame di denaro e di guadagni realizzati con la paura e il sangue. Sono orrendi quei giubbini firmati, quelle auto enormi, quelle ville principesche, quei politici conniventi, quei testimoni distratti. Anche a loro, Mahatma Gandhi avrebbe tentato di far capire le sue poesie: “Scopri l’amore e fallo conoscere al mondo”. Ma quelle parole trovano il vuoto nei cuori di chi non conosce la giustizia del bene. Solo vite spese alla ricerca del giusto sanno creare bellezza. Per sempre, anche dopo la morte.
 
* I versi in corsivo sono del Mahatma Gandhi
 
Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera – 14 marzo 2009

La memoria è la forza delle democrazie. Per questo i tiranni cercano di manipolarla. Di fare sparire nell’oblio le storie, le persone, le tragedie come le gioie collettive, quando siano di ostacolo alle proprie ragioni e ambizioni. E cercano di costruire altre memorie. Memorie finte, convenzionali, snervate. O spudoratamente bugiarde. Spesso non ce ne accorgiamo. Ma il potere, quando non sia mosso da una profonda fede democratica (il che raramente accade), dedica una parte consistente delle sue energie mentali e organizzative proprio a rimodellare la memoria. A imbalsamare ciò che comunque non può essere dimenticato o sminuito. A schiacciare su uno sfondo buio quel che più facilmente esce dai ricordi individuali e collettivi. A dare forme rovesciate agli eventi che alimentano la domanda di democrazia.
Da qui l’importanza civile della giornata della memoria e dell’impegno celebrata da Libera a ogni arrivo di primavera. Perché questa giornata è come un grande fascio di luce con cui un popolo illumina, camminando a ritroso, la propria storia. La rivisita, ravviva i suoi ricordi, rischiara angoli in penombra. Riscopre se stesso. E mette ogni volta a fuoco con più consapevolezza il rapporto tra sé e i propri valori, tra sé e le istituzioni. Coglie in forma nuova abissi e fratellanze. E’ un popolo particolare, fatto di vittime e familiari di vittime di violenza. Di insegnanti e studenti. Di private associazioni e di pubbliche amministrazioni. Di uomini di chiesa e di laiche istituzioni. Di cittadine e cittadini vogliosi di verità e giustizia, ma anche e forse soprattutto di speranza. Un popolo avanguardia anche se ripercorre il passato.
Perché il cammino all’indietro c’è, eccome se c’è con quell’elenco interminabile di morti ammazzati che ridà onore e pietà partecipe a centinaia e centinaia di vittime e pubblica consolazione ai loro cari. Ma quell’andare a ritroso è anche un andare avanti, se è vero che le leggi della fisica non sono affatto le stesse della democrazia. E’ come nutrirsi di nuove energie per continuare il viaggio con più forza e slancio. E non farsi prendere dallo sconforto per la lontananza del traguardo. Questo è il 21 di marzo di Libera, stavolta a Napoli, città di degrado blasfemo e di speranze mai dome. Giorno di confine tra passato e futuro.
 
Gian Carlo Caselli, magistrato – 13 marzo 2009

La società (più esattamente, alcuni suoi consistenti settori) appare oggi impaurita, inquieta, incerta: sconcertata da un futuro che sembra ingovernabile, esposto a derive pericolose. Nell’anestesia delle coscienze, crescono rassegnazione ed indifferenza. Seguono a ruota disimpegno e riflusso. Mentre opportunismo e trasformismo sono sempre più gettonati.
A fronte di questa situazione, occorre irrobustire la nostra capacità di presenza nel mondo contemporaneo. Dobbiamo educarci alla RADICALITA’ DEL PRESENTE. E’ l’unico modo per essere realmente vivi, per sfruttare fino in fondo le potenzialità del presente.
Bisogna sapersi “sporcare le mani”: studiare il passato, capire quel che ci sta intorno, essere capaci di critica intelligente, rifiutando mode, conformismi, idoli e seduzioni.
Il futuro non è un domani “esterno” a noi, ma è “dentro” di noi. Deve crescere la consapevolezza che è proprio il presente, che sono proprio le scelte realizzate oggi a preparare il futuro.
In questo quadro, ecco un modo serio e produttivo per vivere e rivitalizzare legalità e antimafia. Contribuendo a fronteggiare i rischi di arretramento che la qualità della nostra democrazia oggi corre.
Il 21 marzo di LIBERA - a Napoli - può essere una tappa importante di questo percorso.
 
Raffaele Cantone, magistrato – 12 marzo 2009
 
C’è un’immagine che ritorna troppo spesso nella mia mente: è un ricordo che risale alla fine di settembre del 2007.
Allora ero ancora sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli e di lì a poco sarei passato al Massimario della Corte di Cassazione.
Quel giorno mi è rimasto impresso con precisione sia per gli aspetti metereologici sia per il mio stato d’animo.
L’estate non era ancora andata del tutto via; c’era caldo ma anche una leggerissima brezza che rendeva l’aria piacevole; era una classica giornata per andare in spiaggia: si poteva prendere un po’ di tintarella senza subire eccessivamente il caldo. Gli scogli del lungomare di Via Caracciolo erano certamente pieni di ragazzi che avevano marinato scuola o Università.
Il mio umore era però molto tendente al malinconico; sapevo che quel giorno avrei fatto l’ultimo turno esterno della Procura, un turno nel quale si gestiscono tutti gli affari urgenti e si interviene eventualmente per gli arresti ed i decessi violenti.
Tutta la mia carriera era stata fatta in Procura e non so quanti turni analoghi a quelli avevo fatto. Mi auguravo che sarebbe stato di routine e cioè senza morti per strada. Era una possibilità abbastanza concreta; non c’erano guerre particolari in corso e la camorra in quel momento sparava, tutto sommato, poco.
Erano circa le 11 e 30 quando mi chiamò il maggiore dei carabinieri del nucleo operativo di Napoli; mi disse che alle Case Celesti di Secondogliano c’era stato un omicidio. Era un luogo che conoscevo solo di nome, malgrado fossi nato a Secondigliano ed avessi vissuto lì il mio primo anno di vita fino a che i miei non avevano trovato casa a Giugliano.
Chiesi al Maggiore di venire in Procura in modo che potessimo andare insieme sul posto ed intanto che lui arrivava terminai di stilare le richieste più urgenti di intercettazione.
Con precisione da carabiniere l’ufficiale raggiunse l’ufficio; volevo parlargli per capire qualcosa di quell’omicidio avvenuto in una zona che, anche dal punto di vista criminale, conoscevo molto poco.
In macchina mentre ci recavamo sul posto ebbi le informazioni; il morto era stato legato ai Di Lauro e successivamente passato agli scissionisti (o al contrario, adesso questo particolare mi sfugge); i carabinieri lo ritenevano un personaggio in ascesa, considerato anche responsabile di un recente omicidio di un affiliato al suo ex gruppo; una sorta di prova di fedeltà ai nuovi “compari”.
In questa messe di informazioni che il maggiore mi dava non vi era l’indicazione dell’età; glielo chiesi io esplicitamente. “Non ha ancora 19 anni” fu la risposta.
Parte del viaggio restai muto; guardavo il dedalo di vie di Secondigliano e la malinconia che c’era dentro di me aumentava.
Le case celesti erano ancora più azzurre; la piazzetta con una specie di spelacchiato giardino era tutta imbandierata con i vessilli del Napoli che aveva a giugno finalmente raggiunto di nuovo la serie A.
Il cadavere era ancora in sella allo scooter; era proprio al centro della strada semicoperto dal solito lenzuolo bianco che i militari appena arrivati si erano fatti dare da qualcuno della zona.
A nemmeno 50 metri vi era la stazione dei carabinieri, un vero e proprio avamposto dello Stato in terra nemica, non tale, però, da impaurire i killer di turno
Solita folla in strada con qualcuno che piangeva, dai balconi affacciate tante persone e persino dei bambini che chissà cosa pensavano.
Avrò visto nei miei turni pregressi non so quanti morti, nelle condizioni più diverse, ma difficilmente ricordo come erano vestiti; forse quel giorno era la malinconia che mi portavo dentro a farmi essere più attento a questi particolari.
Lo scooter, in primis, era nuovissimo; seppi che non era rubato ed era stato acquistato da qualche mese al massimo; era fiammante e siccome si vedeva il lato che non aveva urtato a terra, notati l’assoluta assenza di graffi.
Ma gli abiti di quel ragazzo mi restarono in mente; le interactive ai piedi nuovissime, le conoscevo non perché fossi un grande appassionato di moda ma perché le avevo viste in un negozio a fine agosto, mi erano piaciute ma al vedere il prezzo di 250 euro avevo pensato che forse non erano così indispensabili; i jeans all’ultimo moda e una t-shirt disegnata come mi era capitato più volte di vedere nelle pubblicità sul settimanale che leggevo sempre.
Mi venne spontaneo paragonare l’ultima moda del ragazzino con lo squallore ed il degrado del quartiere nel quale lui stesso abitava.
Più ci pensavo e più non vedevo l’ora di andar via da quel posto ed ero quasi felice che quello sarebbe stato il mio ultimo turno esterno in DDA.
Che serviva cercare di arrestare persone, sgominare clan, sequestrare beni se i modelli culturali di questi ragazzi erano quelli dell’effimera ultima moda per ottenere la quale si era disposti ad ammazzare e a farsi ammazzare?
E’ questa domanda che tante volte mi ero fatto mi sembrava in quel momento un macigno.
“Basta!”, avrei voluto urlare, basta mattanze per scarpe e vestiti mentre c’è tutto un mondo che questi ragazzini li utilizza per comprare panfili e yacht o per gestire imprese, voti e potere.
 
Andrea Camilleri, scrittore – 11 marzo 2009
 
Se andiamo a cercare in un dizionario italiano, nel devoto-Oli ad esempio, la parola Legalità, troviamo che, dopo aver specificato che si tratta di un sf, vale a dire un sostantivo femminile, viene data questa definizione: “Conformità alle prescrizioni della legge”. Non fa una grinza, come si usa
dire, ma mi sembra una definizione un po' troppo asciutta. Detta così può parere che la legalità sia solo un obbligo, un’imposizione alla quale tutti debbono conformarsi. E' anche questo, certo, ma non solo. Provo a renderla un tantino più colorita. Potrei cominciare dicendo che si tratta di un “sostantivo femminile astratto la cui inosservanza produce effetti concretissimi” Mi spiego meglio.
Vi piacerebbe che un prepotente, un bullo, vi rompesse il naso con un pugno senza nessuna ragione? Certamente no.
Vi piacerebbe che un ladro vi rubasse il motorino? Certamente no. Vi piacerebbe che qualcuno vi vendesse come nuovo un telefonino scassato? Certamente no. Legalità è dunque non agire di prepotenza, non rubare, non truffare, non fare insomma tutte quelle azioni che possano volontariamente recare danno ad altri.
Vogliamo dirlo ancora maglio? Agire nella legalità significa in sostanza “non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te? Sotto questo aspetto allora l'osservanza della legalità non è obbedienza, obbligo, costrizione, o, se proprio volete, conformismo civile,
volontaria, libera scelta di vita e di convivenza, e anche, perché no?, tornaconto personale.
Infatti, se la legalità venisse sempre e dovunque rispettata vivremmo tutti assai meglio e senza temere gli altri. Anzi, finalmente diventeremmo complementari e solidali con chi meno ha o nulla ha,quale che sia il colore della sua pelle.
Allora riscrivo la definizione: “legalità – sf ( che produce effetti concretissimi) – Libero adeguarsi alle leggi che regolano la vita degli uomini per trarne tutti vantaggio” Insomma, con il rispetto della legalità il mondo di sicure diventerebbe più bello da starci dentro.
 
Lirio Abbate, giornalista Ansa - 10 marzo 2009
 
Oggi l’antimafia mediatica si affida sempre più alle fiction. Ma occorre non mescolare realtà e finzione, cronaca e sceneggiati: serve soprattutto il lavoro di chi racconta la realtà senza romanzarla. Per questo il lavoro del cronista fa paura, e crea sconcerto nella criminalità organizzata. L’informazione crea idee, le fa circolare, le porta in giro ed è anche grazie all’informazione che oggi finalmente a Palermo ci sono i volontari di Addiopizzo, i coraggiosi imprenditori e commercianti di Libero Futuro stanchi di avere tra i costi fissi d’impresa il pizzo o le tangenti ai politici. C’è sempre più gente in Sicilia che ci crede, si muove e denuncia. Gli imprenditori si ribellano, i latitanti vengono arrestati e, vuoi o non vuoi, fanno meno paura.
La cosiddetta società civile, scossa dalle stragi, è stata vicina ai magistrati per molti anni e a lungo ha fatto il tifo per i giudici, per le loro indagini e sentenze. Non è bello tifare per i giudici, e non solo perché parliamo di ergastoli e di anni di carcere e non dei goal durante una partita di calcio, ma anche perché fare il tifo significa trasformarsi in spettatori e rimettere alla magistratura una delega, l’ennesima, a raddrizzare le tante storture dei nostri tempi. E se le cose non vanno come si vorrebbe, si finisce pure col fischiare i propri beniamini. Cosa puntualmente avvenuta.
Anche noi giornalisti, purtroppo, abbiamo a lungo scaricato su altri poteri e istituzioni compiti che sarebbero stati pure nostri: un politico assolto, anche se in parte si è visto cancellare il gravissimo reato di associazione per delinquere semplice, per effetto della prescrizione, diventa così un "pater patriae" e ogni occasione diventa buona per intervistarlo, ricordare in tv quanto è stato ingiusto il processo contro di lui. Un altro politico condannato in primo grado è sempre al centro di trame e di intrecci di alta politica: tanto, si dirà, c’è l’appello, e sono solo i giudici a dare le patenti di onestà, in questo Paese. E invece no! Conta la moralità e l’etica, soprattutto per chi amministra la cosa pubblica. Perché ci sono elementi o episodi che per i giudici non sono penalmente rilevanti, ma spesso, sono moralmente ed eticamente rilevanti e quindi vanno scritti sui giornali e riferiti in tv nei notiziari di prima serata.