Editore:
Rizzoli (2015), pag.248, Euro 18,50
È stato scritto, a commento di questo libro, che l’idea del racconto ribalta la condizione biologica: il figlio (Walter Veltroni) è un uomo oramai quasi anziano, il padre (Vittorio) ancora un ragazzo, così come la scomparsa lo ha eternato. È il figlio che diventa genitore del padre (“ma Vittorio è pur sempre un italiano di ieri, un uomo del passato, e Walter un italiano d’oggi, un uomo del presente”).
La domanda che si pone al lettore è: ma qual è l’eredità di un padre che non c’è mai stato? Forse la malinconia, certe tristezze improvvise, la voglia di scherzare.
Così, in un viaggio attraverso il dolore della perdita e la meraviglia della ricerca delle proprie radici, le parole si mescolano e si intrecciano fino a rivelare ciò che le unisce.
Per la storia del giornalismo italiano, Vittorio Veltroni (1918-1956) è stato il “padre” di una formidabile leva di autori, giornalisti, dirigenti che, soprattutto per la radio, e, poi, per la televisione, produssero una quantità d’idee vincenti e di programmi di successo. Memorabili i reportage di Vittorio Veltroni: dai funerali del “Grande Torino”, nel maggio 1949, all’alluvione nel Polesine, nel 1951. Per i giocatori morti nell’incidente aereo di Superga, Veltroni parlò della folla in lacrime che formava, disse, “una fiaccolata di fazzoletti”. Poi quando le bare gli passarono davanti, pronunciò i nomi dei caduti uno a uno. Le trasmissioni dal Polesine allagato sono una pagina straordinaria del giornalismo radiofonico. Il pianto d’un bambino di Cavàrzere entrò in tutte le case e commosse il Paese. Veltroni lanciò “La catena della fraternità” e fu una gara ad aiutare gli sfollati, i senza tetto.