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La solidarietà dell’Ordine nazionale alla categoria.
Credo che si debba cominciare con la vicenda di Lirio Abbate. Due settimane fa, io e il segretario Iacopino siamo stati a Palermo per portare la solidarietà dell’Ordine dei giornalisti al collega dell’Ansa costretto a vivere sotto scorta, a causa di pesanti intimidazioni cui era stato sottoposto. Si è trattato di diversi episodi: il più grave è accaduto quando, sotto la sua automobile, è stato trovato un ordigno rudimentale. Al collega era stato proposto di lavorare altrove - all’Ansa non mancano sedi distaccate per mettere chilometri fra il luogo della minaccia e quello di residenza - ma lui, dopo averci pensato un po’, ha deciso che "no". Avrebbe accettato la sfida lanciata dalla criminalità e avrebbe continuato a fare quello che aveva imparato: il cronista giudiziario che racconta di inchieste, procedimenti, processi, sentenze, appelli.
In Sicilia sono otto i giornalisti morti ammazzati e almeno tre rischiano seriamente rappresaglie della malavita. Giovanni Spampanato, ucciso 20 anni fa, è stato premiato alla memoria al Quirinale nell’ambito del premio Saint Vincent di giornalismo. E il ritrovamento di un cimitero della mafia ha fatto tornare d’attualità la vicenda di Mauro De Mauro.
Esempi coraggiosi che rendono orgogliosi di esercitare questo stesso mestiere Ma, contemporaneamente, evidenziano la difficoltà - e in qualche caso l’impossibilità - di lavorare tranquillamente.
Il ruolo del giornalista: informare e non comunicare
I media di comunicazione restano importanti e, forse, indispensabili ma il ruolo dei giornalisti che li animano corre il rischio di diventare marginale.
Una notizia che può essere sfuggita riguarda la società canadese Thompson Corporation che ha speso 12 miliardi di euro per acquistare l’agenzia internazionale Reuters. E’ un’operazione che, aggiunta al patrimonio mediatico già detenuto, proietta questo gruppo al primo posto nel mondo con una potenzialità del controllo del 34 per cento del mercato economico finanziario. Per un punto superano Bloomberg fermo al 33 per cento.
"Controllo" è la parola chiave perché non interessa informare quanto, piuttosto, comunicare. Le notizie restano aggrappate alla loro fonte come piace, per l’appunto ai comunicatori e non alla loro destinazione - lettori, radioascoltatori, telespettatori internauti - come pretendono i giornalisti e come è regola dell’informazione.
I poteri forti sanno che, senza media, non ci sono affari, esiti politici, interessi da sviluppare scambi commerciali da proporre. Non per nulla chi individuava nel mondo paesi sviluppati, in via di sviluppo e sottosviluppati, ora precisa che si tratta di paesi info-sviluppati, iin via di info-sviluppo e info-sottosviluppati. Però nelle stanze dei bottoni si teorizza che servono i giornali ma che non si sa cosa farsene dei giornalisti. In qualche passaggio sarebbero addirittura dannosi.
I politici e la società: il giornalista deve stare alla larga.
La legge che giace al Senato sulle intercettazioni telefoniche e della quale abbiamo lungamente dibattuto sembra indifferente al fatto che il Paese sia attraversato da bande di malaffare. Quello che conta è che le informazioni che riguardano il Palazzo non vengano diffuse. I reati, le contestazioni o le eventuali condanne dovrebbero rimanere un affare privato fra indagati, imputati, pubblici ministeri, giudici e qualche avvocato di fiducia da conservare in un semi-segreto, nel chiuso delle aule di giustizia.
La censura non vale soltanto per fatti penalmente rilevanti ma per qualunque notizia dia loro fastidio. La trasferta del ministro Mastella a Monza (con figlio) per assistere al gran premio di Formula 1 è stata oggetto di attenzione del mondo politico e di una interrogazione parlamentare. L’ha presentata il capogruppo dell’udeur Tommaso Barbato il quale, in via preliminare, vuole sapere quante personalità abbiano usufruito di quei passaggi aerei e per quali destinazioni con l’obiettivo, eventualmente, di sopprimere il servizio. E fino a questo punto, come contraddirlo? Ma poi il deputato affronta il problema che gli sta più a cuore. Chiede se siano stati ospitati giornalisti, di quali testate e se sia stato chiesto loro un qualche tipo di rimborso. E qui l’interrogazione prende un’altra piega: capziosa, vagamente intimidatoria e inutilmente aggressiva. Ancora: l’onorevole Barbato vorrebbe qualche valutazione circa il fatto che siano state realizzate foto e filmati all’interno di un’area protetta che avrebbe dovuto essere preclusa a chiunque. La questione non è legata al fatto: se è vero o non è vero. Il problema è che i giornalisti dovevano stare alla larga, non dovevano sapere e non dovevano riferire.
E’ una tendenza che ha contagiato la società. Il padre di Alberto, indagata dell’omicidio di Garlasco, ce l’ha con i giornalisti. "Andate via…" li esorta…e li minaccia : "chiamo i vigili urbani". Per fare che cosa non si sa ma, certo, anche per questo signore del quale comprendo - sinceramente - il dolore è più importante l’apparire o meglio il non-apparire che il vero.
Una professione difficile: mediare tra due realtà.
I poteri forti teorizzano la figura del giornalista come sintesi delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Il giornalista "embedded" - arruolato - con divisa, gradi e mostrine, capace di amplificare le virtù - a volte molto piccole degli amici - per esagerare con i difetti degli avversari. Interviste in ginocchio per questi e aggressioni verbali per quegli altri.
La nostra professione, in realtà, è precisamente il contrario e trova sostanza nella mediazione culturale. Il giornalista sta in mezzo: fra due squadre di calcio che giocano una partita, fra azienda e sindacato nel corso di una contesta economica, fra partiti politici in Parlamento o nei consigli comunali. Certo, anche fra due batterie che si sparano addosso dove non è nemmeno impossibile lasciarci la pelle come è accaduto in Kossovo, in Somalia, in Afghanistan e in Iraq.
I problemi dell’informazione nel mondo.
La Politoskaja è stata ammazzata ed è diventata un simbolo della libertà di stampa che paga con la vita la fedeltà alla propria onestà. Il direttore del giornale di Ankara Ozgum Gurden, il kurdo Musa Anter, è anche più sfortunato perché si è consegnato agli squadroni della morte dei lupi grigi per non rinunciare al diritto-dovere di manifestare le proprie opinioni ma il suo nome non è nemmeno tanto citato e per ricordarselo correttamente occorre cercarlo in Internet.
Altri due colleghi kurdi sono stati condannati a morte per aver sostenuto idee e concetti "non compatibili" con la costituzione turca. Insomma: non sono bravi patrioti. Come dire che, se quel tipo di legge valesse anche da noi, l’autore di "maledetti Savoia" avrebbe già finito di scrivere.
La giornalista russa Larisa Arap è stata rinchiusa in manicomio. Aveva seguito per il suo giornale gli appuntamenti politici del movimento dell’ex campione di Kasparov che contesta Putin e qualche citazione non deve essere piaciuta nelle stanze dei bottoni. Quando si è recata in ospedale per ritirare l’esito degli esami per rinnovare la patente, la psichiatra ha chiamato l’equivalente del 118 e l’ha fatta internare. Il tribunale ha stabilito che la giornalista ha bisogno di cure.
La bbc ha censurato un pezzo di Hanif Kureishi che, a tutta prima, credeva di aver proposto un pezzo del tutto accettabile. Aveva commentato il cambiamento di vita e di professione di un gruppo di fotografi che erano passati dalla documentazione dei matrimoni alla documentazione delle decapitazioni delle vittime dei tribunali. Cosa c’era di preoccupante… L’azienda ha rilevato che il corrispondente di Gaza Alan Johonston stava nelle mani dei fondamentalisti e, per nono irritarli era meglio soprassedere dalla pubblicazione di quel pezzo. Insomma: "non era il momento". L’autore ha commentato che i giornalisti sono sempre in pericolo e qualcuno più in pericolo di altri ma che, a sostenerli nel loro lavoro, è la libertà di stampa. Se la libertà di stampa viene meno o si affievolisce, il lavoro diventa più difficile e chi lavora ha meno protezione.
Negli Stati Uniti Judith Miller del "New York Times" si è fatta arrestare per non rivelare le fonti d’informazione che avevano provocato uno scandalo definito "Cia-gate". Ma è un pericoloso arretramento della giurisprudenza che, in passato, era rimasta fedele al primo emendamento che assicurava libertà di stampa e, soprattutto, la garantiva.
Il periodico statunitense GQ ha ritirato un articolo che Josh Green aveva preparato con il risultato di essere fortemente critico nei confronti di Hilary Clinton. Quest’ultima ha minacciato che, se quel testo fosse comparso, avrebbe impedito la pubblicazione di un reportage già realizzato con il marito Bill Clinton che avrebbe dovuto uscire nell’imminenza del Natale con il conforto della copertina. Clinton negli Usa equivale a Lady Diana in Gran Bretagna. Il direttore Jin Nelson ha cestinato il lavoro del redattore per non perdere il vantaggio della diffusione e della pubblicità nell’imminenza del Natale.
Anche i nordamericani titolari del dogma dell’imparzialità della stampa e dei suoi redattori sta modificando le sue regole adattandosi a un più placido conformismo. Adesso si sostiene che: "non importa se vai a letto con gli elefanti, l’importante è che tu non scriva di circo equestre". Il che sembra evidente, se non fosse che è già un arretramento vistoso rispetto all’etica che una volta informava l’informazione Usa.
E in Birmania l’esercito ha fatto fuoco sulla folla che protestava e ha pestato a sangue i monaci buddisti che animavano la contestazione. Ci sono stati morti. Il primo è un reporter giapponese che faceva il suo lavoro. E si è scatenata la caccia al giornalista perché, anche qui, non ha importanza se il fatto avviene. Quello che conta è che non se ne parli
Una crisi testimoniata dalle statistiche e dai numeri.
Per i giornalisti è il tempo di una crisi testimoniata dai commentatori, dai sondaggi e dalle statistiche.
I quotidiani perdono in diffusione e, negli ultimi mesi, dall’ultimo posto che occupavamo in Europa siamo passati, se possibile, all’ultimissimo. La spiegazione nobile sostiene che dipende dalla scarsa qualità del prodotto il che è obiettivamente vero. Ma perde copie anche "Le Monde" che, invece, è considerato un modello di serietà professionale.
La televisione è quella dei reality. E i salotti si dedicano al talk show invitando per lo più protagonisti di delitti qualche volta efferati.
Internet, con la sua capacità di essere anarchica e immediata, non ha ancora uno spazio autorevole e, soprattutto, non riesce ancora ad attrarre risorse economiche capaci di farle fare il salto di qualità in modo che "la piazza" di oggi diventi impresa. Peggio: la crisi rischia di diventare culturale, diagnosticata dall’enlelleghentia e certificata nelle Università. La crisi porta i nomi di Philip Mayer, di Rayon Boudon e della maggior parte dei sociologi moderni.
Philip Mayer sostiene che entro i primi sei mesi del 2040 giornali di carta stampata non ce ne saranno più. La sua tesi si affida a un elemento esteticamente accattivante. Aveva trovato una fotografia scattata nella stazione di Manhattan all’inizio degli anni Cinquanta. Poiché la stazione è rimasta assolutamente uguale, con gli stessi spazi, gli stessi arredi e, addirittura, lo stesso orologio sullo sfondo che segna le 5,10 (presumibilmente le 17,10) ha fatto scattare un’altra istantanea che, dalla stessa angolazione, risulta una specie di copia dell’originale, a cinquant’anni di distanza. Il confronto è, di per sé, un’analisi sociologica perché i passeggeri della metà del secolo scorso erano quasi tutti di pelle bianca, avevano quasi tutti il cappello in testa e portavano quasi tutti un quotidiano in mano. La seconda immagine nella stazione è popolata da quel meltpop che anche noi ci siamo abituati a riconoscere per le nostre strade. Quasi nessuno porta il cappello tradizionale sostituito da quei copricapo di lana con la dominante verde gialla e nera dei paese caraibici. Quasi nessuno ha il giornale in mano. Come dire che le fabbriche della Borsalino e l’industria dei giornali sono avviate su due binari paralleli ma inevitabilmente destinate ad analogo fallimento.
Raymond Boudon teorizza - purtroppo con successo - che l’analisi della storia, della pubblicità, della comunicazione e dell’informazione deve avvenire con gli stessi strumenti perché si tratta di fenomeni assolutamente simili.
La Rivoluzione francese si sviluppa perché tante persone, singolarmente, una dopo l’altra, scendono in piazza. L’evento è determinato da una situazione storica che rende attuabile la rivoluzione nel luglio del 1789 e non dieci anni prima o dieci anni dopo. I singoli attori e la folla che ne rappresenta la sintesi sviluppano la loro azione che si modella e si modifica strada facendo.
Ugualmente per la pubblicità. Se la Fiat decide di lanciare una grande campagna si occuperà di giornali, radio, tv, Internet, manifesti. Il tutto è determinato dalla somma dei singoli interventi che possono cambiare nel corso della campagna se la risposta del pubblico convince a togliere un particolare piuttosto che cambiare un colore.
L’informazione - secondo Boudon - non è dissimile. Un fatto si spezzetta in tanti episodi rispetto ai quali il giornalista si adatta cambiando atteggiamento e prospettiva in funzione della risposta del pubblico. Dunque l’informazione perde quel grado di imparzialità e di essere super partes che sempre avevamo rivendicato ma viene inghiottita dal mercato con le sue regole merceologiche.
Infine la sociologia che parla di "giornalismi" sostenendo che grande è la differenza fra chi scrive un editoriale per il Corriere della Sera e chi manda quattro parole sul cellulare per comunicare un avvenimento con un flash. La trovo una teoria pericolosa lessicalmente. Ovviamente non ci sono problemi a riconoscere che gli strumenti sono diversi e che diverso è utilizzare la parola scritta, la parola orale, l’immagine, l’interattivo o altro. Ma noi dobbiamo rivendicare che il giornalismo è uno solo perché costituito da una serie di persone che testimoniano ciò che riferiscono e di quel fatto testimoniato vanno alla ricerca della verità. Questo è l’elemento che accomuna tutti e addirittura mette insieme non solo i giornalisti contemporanei ma addirittura quelli che con altri strumenti possono essere considerati fratelli o cugini primi: l’uomo di Neanderthal che ha disegnato sulla caverna la scena di caccia di cui era stato protagonista o colui che accompagnerà la spedizione dei terrestri su Marte e che, la conquista di uno spicchio di universo, potrebbe comunicarla con il tele-pensiero. I "giornalismi" della sociologia ammazzano il giornalismo, quello vero.
Rivedere la legge istitutiva dell’Ordine? Difficile un intervento legislativo.
Tutte queste considerazioni (che spero non risultino accademiche o didascaliche) disegnano un quadro nel contesto del quale appare velleitario attendersi aiuti, favori, incoraggiamenti, considerazione. Pessimista? Forse. Ma se il problema è la revisione della legge istitutiva dell’Ordine del 1963, questo Parlamento non mi sembra nelle condizioni di esaminarla. Per la verità, non sembra in grado di esaminare niente ma, soprattutto, questioni che non attendano direttamente l’ordinaria amministrazione.
La commissione giuridica è già al lavoro per elaborare un testo che, partendo dal documento-Politi che il consiglio nazionale aveva licenziato quattro anni fa, tenga conto degli sviluppi della professione e di qualche inevitabile aggiornamento. Ma l’obiettivo di un intervento legislativo organico è obiettivamente difficile.
Quello che otterremo sarà determinato dalle nostre forze. La pelle, la dobbiamo salvare da noi. Se l’espressione non piace possiamo usarne un’altra. Non è il vocabolario in discussione. Io, a questa espressione, non attribuisco affatto un significato rinunciatario né di difesa a oltranza dell’esistente. Salvare la pelle significa rompere l’accerchiamento che ci sta stringendo da più parti, rivendicare i nostri diritti che non sono guarentigie o benevolenze e tornare protagonisti nel mondo dell’informazione, senza sudditanze, senza commistioni con la pubblicità, senza essere cinghia di trasmissione di altri, senza scrivere sotto dettatura.
Salvare la pelle significa risolvere la questione che viene posta da Garante, in seguito alla lenzuolata sulle liberalizzazioni, che pretende di eliminare i minimi tabellari per le prestazioni professionali. E’ un punto all’ordine del giorno e lo approfondiremo in seguito. Non so avvocati, medici o ingegneri. Le nostre tariffe sono assolutamente teoriche e credo che nessuno le applichi se non in sede giudiziaria. Però se con quelle tabelle pagano un articolo 2 euro, senza quelle tabelle gli editori avranno modo di pare gli articoli cinquanta centesimi. Eppure l’autorità chiede un atto formale di cancellazione dei tariffari pena sanzioni amministrative e multe.
Anche i giornalisti hanno le loro colpe.
Certo, i giornalisti che sono accerchiati hanno anche le loro responsabilità e lamentarsi piano o forte serve a poco se non si è in grado di proporre - contemporaneamente - un’autocritica che sia serena ma anche severa.
Troppe inadempienze, troppe pigrizie, troppi errori, troppa violenza al congiuntivo e al periodo ipotetico, troppo gossip a scapito delle notizie e troppe pagine - rifatte in fretta e furia - perché al talk show della notte ne hanno sparata una così grossa che sembrerebbe impossibile non darne conto.
I giornalisti, i loro difetti, li debbono correggere richiamandosi all’impegno etico che hanno sottoscritto al momento di entrare nella professione. Non affidarsi alla casualità, diffidare del troppo facile, non accontentarsi della prima cosa che viene detta. Convincersi che questo è un mestiere serio.
La formazione: le scuole di giornalismo e le Università.
La scuola è fondamentale e il rapporto con le Università è un patrimonio prezioso da difendere e da enfatizzare. L’Ordine ha scelto la strada accademica per preparare gli aspiranti giornalisti e non cambia idea. A meno che non siano le Università a tirarsi indietro.
I rapporti con gli atenei non sono sempre fluidi. Non vorremmo interferire più del dovuto nelle didattiche dei professori ma, d’altra parte, vorremmo essere ascoltati quando proponiamo seminari, lettorati e laboratori.
Per questo è indispensabile un quadro di indirizzi didattico aggiornato e rigoroso. Il comitato tecnico scientifico è al lavoro. Maria Pia Farinella lo coordina con Sergio Borsi e Pierluigi Bertello. Ne fanno parte Maria Chiara Aulisio, Ida Baldi, Fabio Benati, Silvano Bertossi, Mario Bernardini, Mauro Carafa. I colleghi si sono incontrati con i rappresentanti del consiglio nazionale nelle singole scuole e con i presidenti degli ordini regionali. Con i presidenti degli ordini regionali è prevista un secondo incontro, poi con i direttori delle scuole universitarie l’otto e il nove, a Torino e, infine, con il consiglio nazionale per il dibattito che dovrebbe portare all’approvazione del documento.
La convenzione con gli istituti universitari deve essere subordinata alla presentazione di un bilancio dal quale risulti la quota di iscrizione che ogni studente dovrà versare alle casse scolastiche. I master sono costosi ma gli studenti non possono sopportare rette troppo onerose e la scuola non può diventare discriminante per censo. Se le quote indicate per gli aspiranti giornalisti saranno superiori a quelle normalmente fissate per un’iscrizione universitaria, l’Ordine non accetterà il protocollo d’intesa e non firmerà la convenzione.
Gli istituti che adesso godono del riconoscimento dell’Ordine devono essere sottoposti a ispezioni incisive (che, purtroppo, negli anni scorsi, non sono avvenute). E’ doveroso verificare che gli standard di professionalità siano appropriati alle nostre esigenze. I master hanno rappresentato fin qui un’esperienza, nel suo insieme, positiva ma ancora largamente eterogenea, basata soprattutto sulle capacità e sulla volontà di singoli gruppi di colleghi e di esperti.
I giornalisti destinati all’insegnamento siano selezionati, abilitati e messi nella condizione di esprimere il meglio del loro sapere. Oggi, alcune lezioni si riducono alla testimonianza della vita di un inviato (a volte assai prestigiosa) poco significativa in un contesto in cui la stessa figura dell’inviato è messa in discussione. Il romanticismo e il "profumo del piombo" appartengono al passato ed è bene guardare verso il futuro. Altre lezioni, invece (peggio ancora!) sono dei soliloqui poco comprensibili nel lessico e nel contenuto. Un bravo giornalista non necessariamente è un bravo insegnante (e viceversa). Per stare dietro una cattedra universitaria occorre dare prova di adeguata preparazione. Probabilmente sarà necessario realizzare dei corsi abilitanti, come avviene per gli insegnanti che passano di ruolo. E se uno è un bravo cronista giudiziario perché deve insegnare economia al posto di un collega del Sole 24 ore che si mette in cattedra per raccontare come si fa la cronaca nera?
Se gli editori rappresentassero una categoria affidabile e, soprattutto, intelligente, dovrebbe essere facile confrontarsi con loro e convenire che gli stages estivi vanno riservati esclusivamente ai praticanti giornalisti delle scuole riservando loro compiti professionali ma non sostitutivi di funzioni gerarchiche. Gli editori e la Fieg sono quelli che sono: un po’ (tanto) arroganti e un po’ (tanto) miopi. In ogni caso le nostre redazioni non possono affollarsi di studenti in ingegneria e informatica, quasi-geometri, laureandi in lettere antiche e cultori di studi ergonomici. Le Università con le quali stipuliamo le convenzioni per i master devono impegnarsi a non richiedere stages per altri studenti non praticanti giornalisti, con l’obiettivo di arrivare alla conferenza dei rettori e al ministero dell’Università per ottenere la certezza che la disposizione varrà per tutto il mondo accademico.
La formazione: il praticantato ed i corsi di preparazione.
Al Comitato tecnico scientifico, terminato questo lavoro, chiedo di elaborare un progetto per una preparazione più incisiva degli aspiranti colleghi che arrivano all’esame secondo i canali tradizionali che però, purtroppo, non sono il praticantato che abbiamo conosciuto fino a un decennio fa ma un riconoscimento d’ufficio. Per loro è indispensabile rafforzare il percorso formativo. Adesso è obbligatorio un corso di preparazione (il padre di questi seminari è Fiuggi) che è straordinariamente efficace se si tratta di ripassare materie già studiate e masticate ma che risulta insufficiente se deve realmente preparare per la professione dal punto di vista teorico e pratico. Il corso-seminario dovrà essere almeno raddoppiato (decentrandolo ovviamente in quasi tutte le regioni). Cinque giorni e una quarantina di ore di lezione sono poche. Occorrerà approfondire maggiormente le materie giuridiche ed essere certi che i candidati abbiano ben compreso i livelli di attenzione deontologica.
Il giornalismo non è una missione ma resta una professione con alti contenuti intellettuali. Il fatto di ancorarsi ai valori della libertà e della critica, colloca il giornalismo nell’ambito delle manifestazioni più significative della democrazia.
Non è bene che tutti facciano i giornalisti e sono disposto a concedere che non è nemmeno bene che tutti continuino a farlo, come peraltro, allontanando Farina, si è messo in pratica.
Perciò la selezione deve essere rigorosa, severa, documentata, trasparente. Un accesso per chiamata, con giornalisti che lo diventano mentre esercitano, non risponde più alle esigenze di una professione moderna e, anzi, ne compromette i presupposti di credibilità. Troppi "Signorini" che sembrano distillare scienza concentrata parlano di facezie persino poco rispettose della dignità delle persone cui vengono riferite. Che sia chiaro: o il Corriere della Sera o l’isola dei famosi. I due piani non sono sovrapponibili né fungibili tanto da consentire di esercitare contemporaneamente in entrambi i campi o alternativamente. Chi sceglie di pronosticare partite con il pendolino, chi si accapiglia in tv per ragioni di audience o chi rinuncia ai valori della professione per rappresentare una parte della tifoseria deve essere obbligato a restituire la tessera da giornalista.
E l’ingresso nella professione deve avvenire in modo moderno. Gli esami con la macchina per scrivere devono finire. Occorre modulare l’esame, moltiplicando le sessioni, in modo che i candidati siano a misura d’uomo e possano utilizzare il computer.
E mi piacerebbe che il praticante, diventato professionista, al momento di ritirare il tesserino dell’Ordine, possa pronunciare una specie di giuramento. Come quello di Ippocrate per i medici. Capisco che non è una formuletta che mette i colleghi a testa alta e a schiena dritta. Però diventa un incoraggiamento psicologico per chi è animato da buone intenzioni e un deterrente per chi crede di comportarsi in modo sciatto. La commissione giuridica può elaborare un testo efficace.
La formazione: i pubblicisti.
Un corso analogo e obbligatorio si deve immaginare anche per chi presenta domanda per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti. Il più delle volte i pubblicisti già padroneggiano una materia in modo eccellente ma, da qualche tempo, il pubblicista è un professionista (il sindacato usa il termine "professionale") che non è nelle condizioni di sostenere l’esame per le pastoie burocratiche che glielo impediscono. E’ un giovane che prepara servizi televisivi, radiofonici, fa interviste, firma in prima pagina. Non può esprimersi in una professione orecchiandone casualmente gli elementi costitutivi. Anche per lui una scuola di formazione.
Una biblioteca dell’Ordine riservata alla tesi di laurea.
Il patrimonio di sapere prodotto dalla scuola sarà conservato in una biblioteca riservata alle tesi di laurea. Sono volumi a volte molto prestigiosi con ricerche accurate che rimangono per un po’ negli archivi delle Università e poi finiscono al macero.
Maurizio Pizzuto ha l’incarico di contattare professori e presidi delle facoltà di comunicazione e umanistiche per farsi mandare questi lavori, catalogarli e trasformarli in un prezioso bagaglio di consultazione e di ricerca. Ogni anno possiamo immaginare una serie di premi da assegnare alle tesi più significative e immaginare una manifestazione che dia risalto all’evento.
Concorso Il giornale nelle scuole.
E sempre nell’ambito del rapporto con la scuola, credo che l’esperienza di raccogliere i giornali prodotti dalle scuole dell’obbligo abbia dato buoni risultati. Giovanni Fuccio se ne era occupato negli anni passati. Mi pare la persona adatta per continuare questo impegno. Il primo anno sono arrivati i rappresentanti di una quarantina di istituti, che sono diventati cento e poi 140. L’anno scorso nel salone dello stenditoio non ci stavano tutti e si è dovuto fare dei turni per consentire a tutti di ritirare il premio. Forse dovremo chiedere ospitalità al palazzotto dello sport.
A proposito di gossip...
Il mondo della globalizzazione del quale spesso parliamo non è un insieme quasi uguale dove quasi tutti i bambini giocano con la Barbie, mangiano hamburger Mc Donalds e devono Coca-Cola. Più che un mondo in fotocopia è un mondo complicato dalla velocità che aumenta e dal tempo che manca. Per i giornalisti, la trasformazione assume connotati vistosi. Una volta le notizie arrivavano una volta al giorno, occorreva cercarle in edicola e venivano fuse nel piombo, dimostrazione esteticamente visibile di una loro solidità. Adesso sono le notizie a cercare noi: ci inseguono con la voce della radio accesa quando stiamo in auto, accompagnano i rumori di sottofondo delle case dove la televisione è sempre accesa, ci aggiornano - e qualche volta ci confondono - via computer, alla ricerca delle ultimissime novità.
Sappiamo che non possiamo più lavorare come abbiamo imparato ma, forse, non sappiamo ancora bene quale sarà il futuro della nostra professione. Prima il giornalista gestiva la notizia. Adesso, è quasi quasi la notizia che gestisce lui. Più che un cacciatore di informazioni e di particolari da riversare organicamente sul suo pubblico, il giornalista sembra la vispa Teresa che acchiappa, a casaccio, quello che per caso o per l’intelligenza di chi glielo fa trovare a portata di mano si trova a portata di retino.
Non è questa la ragione più vera, capace di spiegare il gossip che inonda i nostri giornali e i metri quadrati di pagine che parlano senza dire?
Spaventato dalla cronaca che non riesce più a padroneggiare, il giornalista si rifugia nel divertente.
Alla zebra non viene l’ulcera perché non può permetterselo. Perseguitato dai leoni questo equino vive nell’ansia ma ignora le conseguenze dello stress, caratteristica delle società più evolute. Di Annalisa Bianchi su Libero di sabato 25 maggio 2007
Inventata la macchina che cambia i sogni. E’ uno strumento acustico capace di modificare il percorso narrativo di ciò che immaginiamo nell’ultima fase, rem, del riposo notturno. Di Roberto Mazzocco sul Quotidiano Nazionale del 16 marzo 2007.
Il profumo di rosa aiuta la memoria. Gli scienziati: ecco come un’essenza influisce sul cervello durante il sonno di Benedict Carrey per la Repubblica del 10 marzo 2007.
La Stampa 27 settembre 2007. Il riso cresce meglio con la Nona di Beethoven. Francesco Scisci, da Pechino, racconta la scoperta dei Coreani. Le piante accelerano la crescita con suoni a specifiche frequenze. Finora soltanto eccentrici come Carlo d’Inghilterra insistevano che bisognava parlare con i fiori.
Una tv inglese aveva lanciato una specie di sondaggio per trovare il nome a un gatto randagio che era stato trovato per strada e che l’emittente aveva deciso di adottare. I bambini avevano scelto chuck ma il gatto è stato chiamato sock. L’emittente è stata multata dall’autorità di garanzie inglese.
Il giornalismo è diventato guardone. Spia dal buco della serratura. Il bombardamento del gossip induce a inseguire le beghe coniugali dei vivi e dei morti fino a rendere di dominio pubblico lo sfogo raccolto sul letto d’ospedale di un malato terminale di cancro. E’ tragicamente significativo che una stimata professionista di Modena decida di farsi intervistare da "La Stampa" per assicurare che Pavarotti era irritato con la moglie. Intendiamoci: la collega ha fatto il suo mestiere. Eppure viene superato abbondantemente il ridicolo quando alla domanda: allora lei si è sentita a disagio ai funerali del maestro? La ginecologa risponde: "non ci sono andata, troppa esposizione mediatica!"
Se ci occupiamo di cose - diciamo - serie sono guai. Sembra che sia impossibile specialmente per i tg non consultare l’ultimo ingresso in YouTube con il risultato che a volte vengono trovate notizia significative ma spesso si finisce preda degli scherzi dei più ironici.
Torino si era indignata per il caso di un adolescente che si era suicidato perché i compagni lo scherzavano attribuendogli la colpa di essere omosessuale. Non era vera.
Non era vero che una ragazza dell’ Alto Adige era stata la donna di un’intera squadra di calcio e di mezzo paese. Aveva chiesto la prova del dna per accertare la paternità con l’unico uomo che aveva frequentato. Il Consiglio Regionale ha aperto un’istruttoria e ha chiamato i colleghi a rispondere di troppe sciocchezze rilanciate con tutti i mezzi mediatici a disposizione.
E ha aperto un fascicolo il consiglio della Sardegna perché la notizia di un pensionato obbligato a rubare al supermercato per vivere non esiste. L’articolo era stato pubblicato da un giornale di Cagliari e ripresa da tutti gli altri organi nazionale con enfasi crescente, arricchendo il testo con dichiarazioni di inesistenti protagonisti.
Ho chiesto agli ordini regionali di non minimizzare questi atteggiamenti.
Le regole per intervenire le abbiamo ma occorre farlo con tempestività ed efficacia.
Le nostre carte trovano applicazione? Occorre che il consiglio nazionale si occupi di un monitoraggio delle singole materie.
Minori:
Cosimo Bruno aveva presieduto il gruppo che si è preoccupato di aggiornare la Carta di Treviso. Chiedo che continui questo suo impegno promovendo i principi della difesa dell’infanzia..
Economico
: Gian Carlo Pagan al quale chiederei di coinvolgere Claudio Alò che non è più consigliere nazionale ma che, come consigliere nazionale, la volta scorsa, è stato l’anima del documento in vigore. Con lui Sabbatini del Sole 24 ore che ha svolto un lavoro prezioso ed efficace.
Sport
: Dario De Liberato
Emigrazione
: Ezio Berard
Pubblicità e informazione
: Maurizio Di Gregorio e Claudio Santini
Council europei
: Felice Maselli
Relazioni con colleghi cinesi
: Ugo Armati
Est e Balcani
: Luigi Vigevano
Giornalisti italiani residenti all’estero
: Franco Po.
Una precisazione. Indico il referente e non l’intero gruppo perché vorrei che il gruppo si formasse in funzione degli interessi e delle predisposizioni dei colleghi del Consiglio Nazionale. Chi ritiene di poter dare un contributo in questa, piuttosto che in quella materia, si presenta al referente e chiede di partecipare ai lavori.
L’accelerazione sociologica di questi tempi rischia di cambiare pelle alla nostra professione. Abbiamo bisogno di discutere, di affrontare i temi caldi della professione, individuarne le fragilità, cercare le opportunità per rafforzare il ruolo del giornalista nella professione e della professione nel contesto sociale.
Dobbiamo copiare dal parlamento che con mille fra deputati e senatori non potrebbe approfondire nulla. Le commissioni svolgono un lavoro preparatorio, di ricerca di fonti e di documenti, già incanalando il dibattito.
I nostri 139 consiglieri nazionali sono un piccolo parlamento. Per discutere e ottenere dei risultati occorre che il consiglio nazionale si spezzetti in tanti piccoli consigli nazionali dove ogni problema trovi una sua collocazione. Il gruppo sviluppa una specie di istruttoria in modo che il plenum del consiglio nazionale abbia a disposizione documenti, testi, riflessioni, aggiornamenti.
I pubblicisti (Enrico Paissan)
I gruppi di specializzazione (Roberto Zalambani)
La multimedialità (Rodolfo Valentini)
Gli uffici stampa (Remo Guerra)
La cosiddetta piccola editoria (Angelo Baiguini)
Il precariato (Massimiliano Saggese)
Occorrono i luoghi per riunirsi, conservare l’archivio, discutere e sviluppare gli argomenti. Il Consiglio Nazionale può riunirsi in questo salone. Ma non ci sono le stanze per le commissioni. Trovare una nuova sede è impegno urgente dal quale dipende la capacità di elaborare progetti e metterli in pratica.