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Del Boca ai giornalisti cinesi: il nostro dovere è raccontare sempre la verità

23/06/2008
 
 “Quello che è appena trascorso, fra Italia e Cina, non è stato un periodo di relazioni troppo cordiali.
Alcuni prodotti, soprattutto farmaceutici, in arrivo dall’Oriente sono stati bloccati alla frontiera perché contraffatti e pericolosi per la salute. Pechino ha impedito l’importazione di mozzarelle, olio e altri prodotti alimentari.
I Governi sviluppano politiche diverse – talvolta, anche conflittuali – perché seguono logiche suggerite dalla loro politica e dagli interessi economici che risultano sempre disomegenei. Perciò, spesso, i Paesi si trovano su fronti opposti, anche protagonisti di dialettiche anche accese. Per i giornalisti è diverso. Fra i colleghi italiani e cinesi (con chi opera nell’informazione a qualunque latitudine) questa discriminante non esiste perché i giornalisti - ovunque si trovino e di qualunque servizio siano incaricati - non hanno interessi nazionali da proteggere. Si propongono unicamente lo scopo di servire la verità e di farlo nel modo più completo e più equilibrato possibile.
In ogni circostanza e qualunque sia la ragione del contendere.
La regione di Chen-du che, anni fa, avete avuto l’amabilità di farmi visitare è stata sconvolta da un terremoto che le fonti d’informazione hanno definito “di eccezionale intensità”. La politica locale e nazionale deve preoccuparsi di recuperare i morti per dare loro l’onore che meritano, di soccorrere i feriti per ricoverarli in ospedale, di accudire chi ha perduto casa e lavoro per alleviarne le sofferenze. Il giornalista – pur nel dolore e nella solidarietà che simili disastri producono – ha un’altra preoccupazione: raccontare ciò che vede e farlo con onestà. Certo, difficile in questi casi impedire di commuoversi e, tuttavia, senza che il coinvolgimento trasformi il resoconto in una propaganda.
Chen-du sta proprio sotto l’altopiano del Tibet e da lì, durante quella visita, abbiamo preso la rincorsa per salire in aereo fino a Lhasa. Ho provato, allora, una straordinaria emozione e mi sono sentito stringere il cuore quando ho saputo che la gente confrontava le rispettive ragioni, manifestando in piazza su fronti contrapposti. Anche qui: la politica ha le sue dinamiche e le sue ragioni, cerca soluzioni a lei favorevoli, tenta di spiegare cosa è accaduto, nel modo che le è più congeniale, più utile e più favorevole. I giornalisti, di per sé, hanno un compito più facile perché non devono preoccuparsi di come il loro resoconto verrà interpretato e per chi sarà vantaggioso. Ai giornalisti - a noi - basta coniugare quello che vedono, quello che sentono e quello che viene loro dichiarato. Anche qui, senza iattanza e senza la pretesa di avere delle verità in tasca, senza versioni precostituite ed evitando la tentazione di dare delle lezioni al mondo. Anzi, con garbo e con serenità: con pacatezza e con onestà intellettuale.
Niente affatto facile: a volte il lavoro del cronista si scontra con incomprensioni e con ostacoli che, a tutta prima, sembrano insormontabili. Ovviamente, se le autorità tengono i giornalisti lontano, il resoconto testimoniato risulta una fatica improba e il risultato non potrà che essere deludente.
Però, chi si oppone alla presenza dei giornalisti - nella comunità locali, in Parlamento, sui luoghi dei disastri o dove le crisi diventano acute – deve sapere che si espone al rischio di essere considerato, a prescindere, dalla parte del torto perché la sua reticenza a mostrarsi trasparente significa che ha qualche cosa da nascondere: magari anche solo qualche particolare sgradevole o qualche determinazione inopportuna.
Peggio ancora se il giornalista viene ridotto al silenzio con intimidazioni, censure violente o con il carcere. Non è il problema di uno o di pochi. E’ un affare che riguarda tutti. In Italia, proprio alla vigilia della nostra partenza, il Governo ha immaginato dei provvedimenti che prevedono tre anni di carcere per i giornalisti. Consideriamo che sia dannoso per le libertà e per la libertà di stampa e chiamiamo a raccolta i colleghi del mondo per una solidarietà professionale.
Fra gli operatori dell’informazione, il problema e la difficoltà di uno diventano il problema e la difficoltà di tutti.
Italia e Cina – come Stati - possono dividersi, polemizzare, litigare e persino dichiararsi guerra (dal punto di vista economico!). I giornalisti, al di qua e al di là degli Oceani, non possono che intendersi sul lavoro che svolgono, sulla loro deontologia, sulla serietà e onestà professionale del mestiere che si sono scelti”.