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Del Boca: un G20 dell’informazione per combattere la crisi costruendo regole universali

23/04/2010
La transizione del giornalismo dalla carta stampata al digitale dove ci porterà? È possibile prevederne gli sviluppi e governarne il futuro? Ci consegnerà un nuovo modo di fare giornalismo o assisteremo alla scomparsa del mondo dell'editoria?
Ha preso spunto da queste complesse domande il convegno che si è tenuto a Perugia, nell’ambito del Festival del giornalismo dal titolo provocatorio “Alla ricerca del giornalismo perduto” (nella foto, da sinistra: Derrick de Kerckhove, Philip Meyer, Ezio Sciarra, Lorenzo Del Boca).
Le riflessioni che ne sono emerse sono state molto interessanti e sicuramente innovative nell’indicare nuove soluzioni e nuove regole alla crisi che attanaglia il mondo dell’informazione: è inutile sperare in un ritorno al passato, verso una informazione che non c’è più. Meglio prendere consapevolezza dei cambiamenti tumultuosi in atto ed elaborare una strategia di trasformazione di una professione che non potrà più essere quella che era. Si tratta di una sfida complessa ma non impossibile.
Su questo punto si sono ritrovati tutti d’accordo i relatori del panel: i più esperti massmediologi del momento, Philip Meyer, professore dell'Università del North Carolina e Derrick de Kerckhove ordinario di Sociologia della comunicazione alle Università di Napoli e di Toronto. Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine nazionale e giornalista da oltre trent'anni. Ulf Karnell, project leader del PoIT, la più antica testata del mondo fondata in Svezia nel 1645 dalla regina Cristina, passata di recente dalla carta stampata alla versione on line, intervenuto dalla Svezia in audio conferenza. Ha moderato il panel il professor Ezio Sciarra, dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara, che nel suo discorso introduttivo si è soffermato sul concetto di "citizen journalism": una informazione assicurata dal cittadino che si improvvisa giornalista raccontando quello che vede utilizzando il telefonino che fotografa, filma, registra.
Entro il 2040 il giornale di carta è destinato a scomparire. Lo ha detto Philip Meyer, illustrando i risultati dei suoi studi (The vanishing newspapers) con originali diapositive. La vendita dei giornali ha registrato, dagli anni '70 ad oggi, una rapida discesa; la stessa cosa vale per il numero dei lavoratori assunti all'interno delle redazioni (dati forniti dall' American Society of Newspaper Editors); un calo registrato soprattutto negli anni '90 con l' avvento del world wide web.
Meyer ha affermato che la mission del giornale è quella di influenzare l'individuo nell'acquisto e quindi di fidelizzarlo. Di conseguenza più cresce l'influenza che il giornale ha sulle persone più è prezioso il suo spazio pubblicitario.
Quali sono le strade da seguire? Bisogna professionalizzare chi ha intenzione di intraprendere il mestiere del giornalista, seguire un codice deontologico, acquisire competenza. Cosa occorre evitare? Non bisogna privilegiare le produzioni a basso costo che presentano anche un basso contenuto.
Per Derrick De Kerckhove è necessario far acquisire fiducia al lettore, trasmettere affidabilità, competenza. È indispensabile, inoltre, il perseguimento di una rigida etica professionale. Quella che stiamo vivendo è la terza fase del processo evolutivo dell’informazione, quella dei telefonini e del wi-fi, in cui tutti, come ha anticipato Sciarra, possono approdare al "citizen journalism". Questa fase è stata preceduta da quella della digitalizzazione; mentre la prima è stata quella della carta.
Karnell, in audio conferenza, ha illustrato il percorso del giornale svedese PoIT, che si occupa per lo più di questioni ed annunci legali: nel 2006 vendeva circa 1000 copie l'anno; dal 2007, anno in cui è stato messo in rete, vanta circa 3000 visite al giorno. Oggi la versione cartacea di PoIT non esiste più, ma Karnell ritiene che la testata svedese rimanga comunque un giornale, anche se on line. Un giornale che ha raggiunto l'obiettivo di diventare più popolare e più diffuso grazie alla rete, riducendo i costi: l’attuale redazione conta 2 giornalisti, contro i 10 di quella che stampava il giornale.
Interessante, a questo punto, l’intervento di Lorenzo Del Boca, che ha raccontato la crisi della professione dal punto di vista del giornalista, ossia vissuta sulla propria pelle, con un maggiore coinvolgimento rispetto agli accademici.
Gli editori hanno provato a combatterla con gadget allegati ai giornali, racconta Del Boca. Ma è una soluzione che lascia il tempo che trova: utile purtroppo soltanto a mascherare temporaneamente le dimensioni della crisi in atto. Se da una prima impressione il problema economico può sembrare risolto, alla lunga non è così: i giornali perdono copie, registrano un consistente dimagrimento dei bilanci e mandano a casa i giornalisti.
Ma in una professione dove la trasmissione di sapere avviene anche dal contatto diretto con i colleghi più anziani, perdere la memoria significa impedire la trasmissione di un sapere verticale, vale a dire compromettere il futuro.
Del Boca condivide le previsioni di Meyer: i giornali di carta sono destinati a scomparire e, soprattutto, l’informazione cambia i suoi connotati. Il futuro non potrà essere più rappresentato da un processo in verticale con i quotidiani che parlano con i lettori senza contraddittorio. Al suo posto si sta disegnando uno scenario in orizzontale con i lettori che interagiscono. Ma non solo. I cittadini non vogliono più notiziari generalisti ma cercano notizie di approfondimento puntuali e precise in specifici ambiti di interesse.
Qual è allora la strada da perseguire per il presidente dei giornalisti italiani? Perché il cronista possa continuare a essere mediatore tra i fatti e i cittadini, deve crescere il suo livello di preparazione, di consapevolezza e di credibilità.
Ma prima di concludere, Del Boca lancia un messaggio importante: occorrono nuove regole che abbiano carattere universale, regole deontologiche che siano condivise da tutti i Paesi. Un G20 dell’informazione con l’obiettivo di costruire un decalogo con valore planetario.
Non si tratta allora di andare alla ricerca di un giornalismo perduto ma piuttosto arrivare all’elaborazione di principi che vengano costruiti dal basso attraverso una consapevolezza condivisa e partecipata. Vale a dire un processo di trasformazione che veda i giornalisti protagonisti, perché solo le regole auto-prodotte, e non imposte, rispettano i valori della libertà.