Diffamazione a mezzo stampa, tema di rilevanza italiana ed europea. Nell’aula magna degli avvocati (palazzo della Corte di Cassazione) hanno riflettuto assieme rappresentanti del mondo forense, giornalisti, magistrati, esponenti (non solo nazionali) della giustizia.
Il confronto a più voci è stato coordinato dal presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, Mauro Vaglio, e dal presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, che hanno organizzato il meeting.
La manifestazione ha avuto un particolare significato perché si è ragionato non tanto per la tutela degli interessi di parte, ma, piuttosto, per l’affermazione dei diritti del cittadino. Perché è fin troppo evidente che l’esagerata minaccia di azioni (penali e civili) limita parecchio la libertà di informazione e, dunque, penalizza i titolari della pubblica opinione.
Dunja Mijatovic, rappresentante OSCE per la libertà dei mezzi di informazione, ha affrontato il tema della diffamazione in modo molto diretto e deciso: gli organismi internazionali come il Consiglio d'Europa, l'ONU e la stessa OSCE, ritengono prioritario che la libertà di parola non sia criminalizzata. Nel campo dei media si devono certamente salvaguardare la privacy e la dignità delle persone, ma deve essere anche garantita la massima agibilità alla stampa, che è considerata un supporto vitale per la sopravvivenza di tutte le altre libertà. In altre parole, se la libertà di stampa è limitata o condizionata entra in sofferenza tutto il complesso dei diritti dei cittadini. La previsione del carcere per reati di stampa, anche se poi come in Italia la carcerazione dei giornalisti per fatti inerenti il loro lavoro è sostanzialmente non operante, diviene un alibi per altri Paesi che colpiscono come reato opinioni politiche o religiose; si invoca spesso da parte di Paesi con ridotte garanzie in tema di diritti civili il fatto che in Italia, Germania o in Francia il carcere per reati di stampa sia scritto nei codici.
L’analisi complessiva ha indugiato sulle normative in materia vigenti in Italia (prevedono addirittura il carcere per il giornalista ritenuto copevole) e, naturalmente, ha sviscerato il disegno di legge che, transitato alla Camera, è ora parcheggiato a palazzo Madama. Ipotesi di “novelle” che tutti ritengono, al momento, largamente insufficienti.
Riccardo Rosetti, giudice civile al tribunale di Roma, ha concluso una dettagliata dissertazione, rilevando che i magistrati capitolini negli ultimi tempi hanno molto limitato la pesantezza dei risarcimenti liquidati: con una media di circa 27.000 euro in primo grado. Soltanto il 25% delle azioni hanno trovato accoglimento.
Il consigliere di Cassazione Maurizio Fumo, della V Sezione Penale, ha sottolineato che sarebbe più logico parlare di “diffamazioni” di diversa gravità: intollerabili quelle innestate all’interno di notizie consapevolmente false, censurabili, ma non gravissime, quelle derivate da dolo eventuale.
Per Fumo anche la tanto auspicata “rettifica” (immaginata come sanatoria di errori mediatici), è, perlomeno allo stato degli atti, uno strumento spuntato perché i modi e gli spazi concessi non sono, in genere, rimedi davvero seri ed adeguati.
D’accordo, invece, con il legislatore in corso d’opera, per la mitigazione della colpa del direttore: “Impossibile sorvegliare le migliaia di notizie quotidiane”.
Più severo con chi fa informazione il consigliere della V Sezione Penale di Cassazione, Antonio Bevere: “Non ci si nasconda dietro alle affermazioni dell’articolo 21 della Costituzione. La stampa diventi indipendente non solo dal padrone, ma dal gusto di costruire notizie a suo piacimento. La notizia è attualità”. Insomma, per Bevere, nessuna fuga in avanti.
La professoressa Marina Castellaneta (Università di Bari) ha svolto una panoramica, suscitando comprensibile interesse, sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sulle conseguenti decisioni della Corte europea di Strasburgo.
E’ emerso bene il valore che la Corte attribuisce alla libertà di stampa: “Se manca la libertà di stampa, vengono, conseguentemente, limitati altri diritti. Non si è, ad esempio, validi elettori qualora non si sia seriamente e sufficientemente informati”.
Per la Castellaneta “la legislazione italiana è lacunosa e non conforme alle norme internazionali”.
L’invito è a tener conto (nel giudicare eventuali azioni per la diffamazione) che la tempestività nel pubblicare è oggi fondamentale: “la notizia né un bene deperibile”.
Due ulteriori osservazioni: “Il carcere è incompatibile con la Convenzione sui diritti dell’uomo. E le sanzioni pecuniarie devono essere proporzionate alle disponibilità economiche del giornalista. Cioè in linea con le sue tasche”.
A conclusione degli interventi dei relatori il presidente Iacopino ha affermato: “Fra i giornalisti, chi sbaglia deve pagare. Come Ordine non abbiamo alcun interesse a tutelare chi fa il mestiere violando leggi e norme deontologiche. Però non accettiamo che il legislatore consenta di usare l’arma dell’azione giudiziaria come intimidazione e, dunque, blocco della libertà di raccontare e di esprimere opinioni. Minaccia tanto più grave oggi perché volta a frenare cronisti spesso pagati soltanto 5 euro a pezzo”. Sul progetto di riforma all’esame del Senato ha affermato di condividere il giudizio del senatore Casson che non ha esitato a definirlo “bavaglino”.
Duro nel suo intervento Paolo Liguori, direttore di TGCom, il quale è convinto della necessità di depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa ed ha invitato il Rappresentante dell’OSCE Mijatovic ad andare avanti nel suo lavoro incalzando il governo italiano. Ha inoltre aggiunto che la la libertà di stampa vale più di ogni altra cosa e non può essere compressa da leggi o da giudici. Si trovi il modo di “cambiare questa legge correggendo in meglio il testo uscito dalla Camera ed attualmente in discussione al Senato”.
Chiaro anche Umberto Brindani, direttore di Oggi, che ha evidenziato l’importanza di iniziative come questa sui diritti dei giornalisti e quindi dei cittadini a essere correttamente informati. Brindani ha auspicato “la necessità di una rivisitazione, una riscrittura della normativa ferma ancora alla legge del ’48, che sanziona il direttore di una testata non tenendo conto che i giornali attuali sono di gran lunga diversi da quelli di 66 anni or sono. La mole di notizie che vengono pubblicate e l’alto numero di pagine prodotte non consente al direttore un reale controllo che viene di fatto demandato ad altre figure”. Ha toccato poi il problema della privacy che, “unitamente al pericolo delle querele per diffamazione rischia di provocare una sorta di autocensura del giornalista”. Ha concluso invitando le forze politiche a “depenalizzare il reato, attribuire più valore alla rettifica e scoraggiare l’abuso di querela e a ridurre il termine prescrizionale per le azioni civili ad un massimo di un anno”