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Editoria: una nuova politica per uscire dalla crisi

21/02/2013
In queste ultime settimane la profonda crisi del sistema dell’informazione del nostro Paese si è palesata in tutta la sua evidenza: i maggiori gruppi editoriali nazionali – da Rcs a Mondadori, al Gruppo Espresso/Finegil, solo per citare i più rilevanti - hanno annunciato piani di ristrutturazione che comportano riduzioni di grande entità di giornalisti, poligrafici, grafici, in sostanza di tutti i soggetti professionali impegnati nel prodotto editoriale.
Non è la prima volta che accade, ma sarebbe sbagliato e fuorviante considerare anche questo come uno dei molti episodi di difficoltà che, soprattutto in questi ultimi anni, hanno già portato a sensibili cali nell’occupazione: questa volta gli storici e irrisolti nodi del settore editoriale italiano sono per davvero arrivati al pettine e possono essere sciolti non con provvedimenti di carattere episodico e per così dire “congiunturale”, ma solo attraverso una complessiva riorganizzazione dell’intero sistema e delle stesse relazioni sindacali che in esso si esprimono.
In altri termini, la partita è davvero quella decisiva e come tale va di conseguenza affrontata: questo impone che le varie articolazioni del giornalismo – da quella sindacale a quella ordinistica – siano capaci di mettere in campo una strategia di lungo percorso, con una visione complessiva sul futuro dell’editoria nel nostro Paese.
In effetti, a fronte dello straordinario processo di innovazione tecnologica che ormai da un ventennio ha investito il mondo dell’informazione e della comunicazione e che sta assumendo – verrebbe da dire, giorno dopo giorno – una intensità e una velocità crescenti, il punto di vista maturato in questi anni dal mondo dei giornalisti pare a me ancora inadeguato a garantire ad esso di poter partecipare, per la parte che ad esso compete, a pieno titolo al governo di questi processi, con l’obiettivo di salvaguardare i valori e gli obiettivi di sempre di una informazione libera, equilibrata, pluralista.
In altri termini, siamo davvero convinti che la profondità e l’ampiezza della crisi consenta ancora di poter affrontare volta per volta le varie situazioni di crisi che coinvolgono non più solo i pezzi periferici del sistema di produzione, ma i veri e propri “santuari” dell’editoria italiana? O che non sia giunto il momento di chiamare a raccolta tutte le molteplici risorse, le intelligenze, le opportunità presenti nel giornalismo italiano per mettere mano ad un progetto che renda compatibili tra di loro, da un lato, la tutela delle condizioni contrattuali del passato più o meno recente, dall’altro l’inderogabile esigenza di garantire alle decine di migliaia di colleghi che vivono condizioni di perdurante precariato una prospettiva di lavoro rispettosa della loro dignità e della loro professionalità: anche attraverso inedite forme contrattuali.
Ma per questo è necessario per l’appunto mettere in campo una visione complessiva, strutturale dei problemi ed affrontarli con un metodo sistemico, capace di guardare agli interessi nazionali generali che, nel pieno della competizione globale, richiamano il drammatico bisogno di presidiare il versante dell’innovazione tecnologica quale fattore di sviluppo culturale, scientifico, occupazionale, ricercando con ostinazione il confronto e il concorso di tutti gli altri soggetti del settore, in primis le imprese editoriali e mettendo in causa la responsabilità dell’intera classe dirigente rispetto alla necessità primaria di assicurare al Paese un sistema editoriale, della comunicazione e dell’informazione adeguato alle sfide del tempo nostro.
Certo, sono il primo a mettere in conto che si tratta di un passaggio difficile e destinato, almeno in una prima fase a trovare non poche e diffuse resistenze, ma sono altrettanto convinto che se non riusciamo a mettere assieme i segmenti, oggi divisi, della professione, il futuro complessivo del giornalismo italiano è destinato a vivere stagioni ancora peggiori e ben più difficili dell’attuale.
 
Enrico Paissan
Vicepresidente Consiglio Nazionale ODG