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EQUO COMPENSO: una nuova speranza

19/04/2012
E’ bastato lavorare, spiegare, dare le risposte necessarie, far capire quali e quante vergogne si consumano nel mondo dell’editoria. Lo sconcerto in chi ascoltava l’oltraggio di quelle cifre (pochi centesimi, due o tre o cinque euro ad articolo) era pari solo alla sorpresa e al disgusto che veniva manifestato.
Ora, dopo la doccia gelida di martedì 17, si apre una nuova speranza. Grazie all’intervento del presidente del Senato, Renato Schifani, il quale ha ribadito il suo impegno all’esame rapido della proposta; alla moral suasion del presidente della commissione Lavoro, Pasquale Giuliano, e di altri che hanno contribuito al chiarimento, primi tra tanti il sen. Luigi Zanda e, continuando nel suo prezioso lavoro, l’on. Enzo Carra.
Martedì 17 un brivido. La commissione Lavoro del Senato aveva incardinato in sede deliberante (è l’equivalente della legislativa con la quale la commissione Cultura della Camera l’ha approvata in prima lettura) la proposta che noi, per semplicità, chiamiamo sull’”equo compenso del lavoro giornalistico”.
Il presidente Pasquale Giuliano ha fatto presente che c’erano dei problemi (legati ai tempi dell’entrata in vigore della legge e dei parametri giudicati equi) ed ha suggerito di inserire nella Commissione che valuterà l’”equità retributiva” un membro della Fieg accanto ai quattro designati da Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo economico, Ordine dei giornalisti e Fnsi. Il sen. Giuliano non sapeva che, durante l’esame alla Camera, era stato l’allora presidente della Fieg, Carlo Malinconico, a dire al relatore, Enzo Carra, che gli editori preferivano non farne parte.
Ma questo inserimento non è un problema, a patto che si chiariscano con quali modalità la commissione dovrà operare e, in particolare, che nessuno singolarmente, con l’assenza o altri strumenti, possa determinarne la paralisi.
Restava la sorprendente dichiarazione del vice ministro Michel Martone, il quale apre il suo blog assumendo come sue le parole del presidente del Consiglio, Mario Monti, e del ministro Elsa Fornero: il governo vuole “scommettere sui giovani”. Verosimilmente è in coerenza con tale principio che ha annunciato possibili emendamenti al provvedimento che, ammesso ci siano, occorre capire se ha il titolo per presentarli.
Martone, sempre nel suo blog (www.michelmartone.org/), pubblica una nota intitolata “Il labirinto della precarietà”, nella quale scrive, tra altro:
 
“Il vero problema è che un tempo arrivare al castello (quello del lavoro sicuro ndr) era semplice. Certo, c’era una selezione all’entrata ma, superata quella, il lavoro era garantito per tutta la vita e si andava in pensione con l’ottanta per cento dell’ultima retribuzione. E c’erano persino dei baby pensionati.
Oggi, invece, per accedere a quello splendido sistema di protezione è necessario superare un labirinto oscuro e rischioso. Lo chiamano il labirinto della precarietà e non c’è via di scampo: deve essere affrontato da tutti quelli che cercano lavoro perché gli imprenditori hanno paura dell’art. 18.
Alcuni, pochi, fortunati, meritevoli o raccomandati, trovano subito la via d’uscita. I più ci passano anni. Altri si perdono nei suoi meandri. Tutti raccontano di un luogo angoscioso, fonte di insicurezze e frustrazioni e disseminato di trappole crudeli. Sono le trappole della precarietà. Hanno nomi sempre diversi – stage, contratti di inserimento, contratti di apprendistato, contratti a termine, contratti di somministrazione, contratti di lavoro a progetto, co. co. co. – ma sono tutte accomunate dall’essere precarie. Non danno diritto alla protezione dell’art. 18. Dopo un certo periodo di tempo scadono e tu ti ritrovi al punto di partenza con qualche anno in più, qualche speranza in meno e pochi contributi previdenziali”.
 
Può chi scrive e condivide queste cose, presentare, ammesso ne abbia titolo, a nome del governo, emendamenti che non contrastino la vergogna che impedisce di entrare “nel castello”? Emendamenti, di più, che non consentano agli sfruttati di ogni età di avere le risorse economiche necessarie per continuare ad offrire ai cittadini una informazione libera e responsabile, angariati come sono da quegli editori che si comportano come i caporali che sfruttano la manodopera nella raccolta dei pomodori? Certo che non può e che, ammesso ne abbia titolo, se emendamenti presenterà saranno funzionali a garantire diritti, quelli dei giornalisti, e non privilegi, quelli degli editori sovvenzionati con danaro della collettività.