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IL "CASO ALLAM". SÌ, NON NE VALE LA PENA

29/08/2014
Periodicamente denunciamo l'epidemia delle cause per diffamazione, le querele temerarie, le citazioni in sede civile come primi pericoli per la libertà di stampa. Organizziamo convegni, registriamo le doglianze dei direttori di grandi giornali, dal Corriere della sera al Giornale (per citarne solo due), ascoltiamo le loro denunce sulle obiettive difficoltà di controllare tutto e sulla strumentalità di molte iniziative legali.
Capita poi che un organismo autonomo dell'Ordine, il Consiglio di disciplina nazionale (previsto dalla legge per il nostro e tutti gli Ordini professionali), dichiari "non manifestamente infondate" le doglianze di una associazione "Media&diritto" per quanto scritto da Magdi Cristiano Allam, giornalista ma anche politico sia pure con un consenso dello zero-qualcosa-per-cento e si scatena il putiferio.
Non si tratta di una condanna ma di una richiesta di spiegazioni al diretto interessato al quale sono state correttamente fornite garanzie ben più ampie di quelle minime previste dalla legge.
Nonostante questo, c'è chi ipotizza un attentato alla libertà di manifestare il pensiero. Qualcuno, con memoria debole, si spinge a sostenere che se un giornalista sbaglia il danneggiato deve rivolgersi a un Tribunale della Repubblica e non all'Ordine.
Ma come: non erano le querele e le cause civili per danni i principali pericoli per la libertà di stampa? Il Giornale, ad esempio, è sotto minaccia di richieste di risarcimento per milioni e milioni di euro. Così molti altri quotidiani e periodici che alcuni considerano come un potenziale bancomat e altri pensano di intimidire portandoli davanti al magistrato e alla lotteria di una vertenza giudiziaria.
La coerenza non fa rumore e non garantisce visibilità ma un pizzico di serietà non guasterebbe.
La linea dell'Odg è quella del rispetto. Per i diritti di tutti, non dei giornalisti che debbono convincersi che a loro competono maggiori doveri rispetto ai comuni cittadini. Le prove sono numerose, per chi voglia cercarle, vederle e non ha un'attenzione strabica.
Nessuno insorse, infatti, quando il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (allora competente in materia disciplinare) con deliberazione n. 2 dell’11 febbraio 2009, respinse il ricorso presentato dal direttore di un giornale lombardo che era stato sospeso per due mesi dall’esercizio dell’attività professionale per avere pubblicato scritti ed articoli ritenuti di chiaro carattere antisemita.
L'esposto veniva dal presidente della Comunità ebraica che segnalava un titolo "Ora anche gli ebrei contro la croce" e alcuni passaggi dell'articolo: "… Cancellare quella croce per accontentare i sottanoni degli arabi o gli israeliani coi trecciolini che s'inzuccano contro il muro è una bestemmia bella e buona.... Sarà ma a me comincia a nascere il sospetto che un popolo, per aver subito 40 persecuzioni in duemila anni, sempre "vittima" non deve essere stato. Quanto meno un po' rompicoglioni lo è".
Nel provvedimento si riaffermò che se la libertà del pensiero è diritto inalienabile del cittadino, la professione giornalistica è sottoposta, appunto, ad un complesso di regole ulteriori. Ne consegue che il potere conferito all’Ordine riguarda non l’impedimento a scrivere ma il controllo su chi scrive violando la deontologia ed altre basilari regole di stile.
Può darsi non valga la pena di occuparsi di queste star, lasciandole, appunto, ai Tribunali della Repubblica ai quali dovrebbero rivolgersi quanti si sentono danneggiati. Con buona pace di tutto quello che predichiamo. E che inutilmente reclamiamo da anni per porre fine alle intimidazioni a mezzo atto giudiziario: il Giurì per la correttezza dell'informazione.
Ma il disinteresse sarebbe una scelta irresponsabile (oltre che una violazione degli obblighi impostici dalla regole deontologiche) perché le star hanno mezzi economici e solidarietà di vario tipo per difendersi al meglio. Ad essere triturati resterebbero i più, quelli dei quali le star non conoscono neanche l'esistenza.