Il Tribunale di Siena ritiene"ingiustificata e lesiva della dignità professionale del magistrato che ha presieduto l'udienza e dell'immagine dell'ufficio l'affermazione contenuta nella nota dell'Ordine dei giornalisti", affermano in una nota il presidente della sezione penale, Luciano Costantini, e il presidente del Tribunale, Roberto Carrelli Palombi.
L’Odg nazionale aveva manifestato sconcerto per quanto accaduto nel corso di un'udienza dove un giornalista, Augusto Mattioli, citato come teste, era stato costretto a rivelare la sua fonte perché, essendo pubblicista, non poteva valersi del segreto professionale.
"Il giornalista ha testimoniato, scrivono i due magistrati, essendo stata riconosciuta la sussistenza di ragioni ostative al riconoscimento del segreto", specificando che "da un lato la considerazione che l'informazione circa il nominativo della fonte non era più segreta, per averla lo stesso
giornalista riferita informalmente ad un ufficiale di polizia giudiziaria" e che, "da un altro lato la qualifica di pubblicista che, per espresso disposto normativo, in mancanza di un intervento del legislatore che appare senz'altro auspicabile anche per evitare spiacevoli situazioni come quella attenzionata dall'Ordine dei giornalisti, non lo abilita a valersi del segreto professionale riconosciuto solo in favore del giornalista professionista". "Tanto si doveva per ristabilire la verità dei fatti anche a fronte di notizie apparse sulla stampa che fanno pure riferimento ad un 'attacco deliberato alla libertà di stampa'", conclude il Tribunale di Siena.
E’ doveroso riportare quel che scrivono i due magistrati anche per eliminare ogni possibilità di equivoco.
Nessuno all’Odg intendeva mettere in discussione la professionalità di singoli o ledere la dignità di un magistrato o di un intero ufficio. L’Ordine dei giornalisti non agisce in questo modo.
Ma sarà consentito, è auspicabile, manifestare dissenso e preoccupazione per una decisione che contrasta con altra, assunta appena cinque giorni prima, a Caltanissetta, in linea con precedenti sentenze di altri giudici che hanno ritenuto possibile “una interpretazione estensiva della norma” sul segreto professionale. Decisioni in linea con quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in più pronunce.
Sin dalla sentenza Goodwin, la CEDU ha chiarito che in base all'articolo 10 della Convenzione europea il giornalista ha il diritto di non svelare la fonte, sottolineando che non si tratta di un privilegio ma di un aspetto essenziale per assicurare la libertà di stampa e il diritto della collettività a ricevere informazioni. La Corte non ha distinto tra categorie di giornalisti e non ha condizionato il godimento di taluni diritti del giornalista a un suo particolare status nell’ordinamento nazionale (si vedano, seppure sotto un profilo diverso, anche la sentenza Riolo contro l’Italia e sulla tutela delle fonti le pronunce Nagla contro Lettonia nonché Tillack contro Belgio).
A ciò si aggiunga il rango delle norme convenzionali come interpretate da Strasburgo che, in base alla sentenze della Corte costituzionale n. 348 e n. 349/2007 hanno natura subcostituzionale e, quindi, nel caso in cui il giudice nazionale ravvisi una non conformità delle norme interne con quelle convenzionali come interpretate dalla Corte dovrebbe sollevare la questione di costituzionalità, nel caso specifico, per contrasto dell’art. 200 c.p.p. con l’art. 117 della Costituzione.
Condivisibile, apprezzabile anzi, è il richiamo che i due magistrati fanno a legislatore perché affronti la questione prendendo atto che ormai, se mai ci sono state, nella vita professionale pratica non c’è alcuna differenza di elenco, responsabilità, dovere e diritti tra i giornalisti impegnati a garantire ai cittadini una informazione libera.