Ritorna la voglia di bavaglio. Il conduttore è di parte? “Bilanciamolo con altri conduttori di parte! E se provassimo semplicemente a mettere giornalisti bravi? E la bravura la stabilisce il pubblico…
di Gianni Rossetti *
Appena si comincia a sentire odore di elezioni tornano di moda bavagli, bavaglini e bavaglietti. Insomma, c’è sempre chi ha pronta la soluzione per combattere la faziosità che, tradotto in parole povere, significa zittire le voci scomode. Naturalmente i nuovi censori professano un solo e unico fine legittimo e meritorio: l’obiettività, la correttezza e la completezza dell’informazione, il pluralismo, la verità dei fatti. Alcune settimane fa un parlamentare Pdl (il senatore Alessio Butti) ha proposto l’alternanza dei conduttori nelle trasmissioni Rai: una settimana Santoro, l’altra Vespa; Floris contrapposto a Paragone e via di seguito. L’informazione come lo smog: a targhe alterne per evitare che dosi eccessive… nuocciano alla salute.
Già la sola proposta è offensiva. Vuol dire che Santoro, Vespa, Floris, Paragone ecc. sono giornalisti di parte, schierati, asserviti a un padrone (pardon: all’editore di riferimento)? Per carità, gli schieramenti e le tessere di partito non c’entrano, solo una “diversa formazione culturale”! Sarà un modo più elegante, ma sempre di faziosità si tratta. Tanto che, proposta ancora più recente, nella Commissione di vigilanza Rai, Pdl e Lega hanno chiesto di equiparare i programmi di informazione alle tribune elettorali. Il che vuol dire bloccare, per tutto il periodo che precede il voto, Anno Zero, Porta a Porta, Ballarò, ecc.
Obiezione: ma non è dal confronto delle idee che il cittadino può maturare i propri convincimenti? Certo, ma alla faziosità bisogna mettere un freno. E l’unico freno efficace, per questi signori, è il bavaglio. La stampa nostrana – dicono – è affetta da una pericolosa “sindrome da tabloid”, scivola lungo una deriva scandalistica e dalla malafede politicamente orientata. L’informazione diventa spettacolo, chiacchiericcio senza costrutto, ipocrisia che nasconde la sostanza delle cose. Un difetto cronico, insomma, che si è pericolosamente acuito nel tempo.
Alla Scuola di giornalismo di Urbino (che ho l’onore di dirigere) si insegna che il primo obiettivo è la “ricerca della verità”, senza posizioni precostituite e pregiudizi. Ciò è possibile attraverso la verifica delle fonti e dando voce a tutte le parti in causa. E’ invece convinzione comune che il giornalismo di oggi sia l’altra gamba della politica: strumentale, tendenzioso, disposto a barattare l’onestà con la convenienza. La faziosità, coltivata con passione, raggiunge livelli impensabili.
Vanno bene le opinioni, ma i dati, almeno quelli, non sono né di destra né di sinistra. Un buon giornalista le notizie non le nasconde, ma le pubblica. Quella del cronista è una professione difficile: servono equilibrio, misura, etica, soprattutto professionalità. Tanta professionalità. I politici vorrebbero che i giornalisti fossero “camerieri dell’informazione” che non abbiano dubbi di fronte al dissidio interiore fra coraggio e paura, tra coscienza e opportunismo.
Alla faziosità non si risponde con altra faziosità. Nell’Italia delle fazioni armate c’è anche chi sostiene che il giornalista più affidabile è quello consapevolmente fazioso, perché la consapevolezza gli detta la deontologia. In ogni caso la soluzione non è chiudere la bocca a Santoro e Floris o riequilibrare la “faziosità” con Ferrara o Sgarbi. Semmai affidare le trasmissioni a giornalisti professionalmente bravi. E la bravura la stabilisce il pubblico e il successo delle trasmissioni, non il politico. Aveva proprio ragione Leo Longanesi a proposito di libertà di stampa: “Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi”.
* Gianni Rossetti, Presidente Ordine giornalisti delle Marche