La tragedia di Avetrana trasformata in un macabro reality show. L’auditel incontrastato sovrano del circo mediatico. Molti giornalisti hanno superato il limite della decenza.
di Gianni Rossetti
Un piccolo paese trasformato nella “Hollywood degli orrori”. Avetrana, appena ottomila abitanti è diventato il palcoscenico per un macabro reality show da offrire all’impietoso e dissacrante tritacarne mediatico. I sentimenti e perfino la pietà calpestati dalla violenza dell’informazione in diretta e a tutti i costi. E’ la macchina del dolore che si nutre di vicende umane e produce indici di ascolto in nome della stella polare del terzo millennio, ovvero l’auditel.
Un paesino come tanti investito da una incredibile ondata di macabra popolarità, una piccola comunità che scopre la morbosità del “turismo dell’orrore”, tanto da costringere il sindaco a emettere un’ordinanza per impedire la circolazione nelle strade adiacenti la casa che è stata teatro di un orribile delitto familiare. Una tragedia che ha alimentato una spirale di voyeurismo, di giornalismo “da buco della serratura” in cui tutti hanno sguazzato senza ritegno e senza limiti: conduttori televisivi, criminologi, esperti improvvisati e pubblico. Perfino i protagonisti della vicenda, presunti autori e vittime, conquistati dal presenzialismo televisivo.
Una volta i parenti delle persone scomparse andavano in Tv appena il tempo per leggere un comunicato o lanciare un appello. Poi si chiudevano nel dolore, nell’angoscia e nell’attesa di qualche notizia confortante. Oggi bivaccano in Tv, non davanti al video, ma dentro, da protagonisti. Aprono le porte di casa alle telecamere, partecipano a trasmissioni in diretta, si prostrano davanti ai “tronisti del dolore” che non si pongono limiti neppure nel frugare nel privato e nell’intimo.
Abbiamo perso i punti di riferimento, i valori etici che dovrebbero guidare i comportamenti di chiunque si presenti in uno studio televisivo. Giornalisti per primi. E’ preoccupante e devastante se l’unico punto di riferimento diventa l’auditel o la necessità di vendere i giornali a tutti i costi.
In questa vicenda molti giornalisti hanno superato il limite della misura e della decenza; hanno dato un esempio del declino in cui stanno incamminando la professione e una dimostrazione del degrado che si può raggiungere se si perdono di vista i punti cardinali del giornalismo, cioè la ricerca della verità, il rispetto della dignità delle persone, dei lettori e degli ascoltatori.
In tutte le trasmissioni televisive si parla solo della terribile vicenda di Sara Scazzi. Si discute per ore, spesso sul vuoto. E’ diventata la grande opportunità di immagine, di visibilità per sociologi, criminologi e commentatori di tutte le stagioni. Ciascuno dice la sua, spesso senza conoscere i fatti nel dettaglio, ipotizzando scenari fantasiosi che servono solo ad alimentare il voyeurismo morboso e irriverente che, purtroppo, serve per alzare gli ascolti.
Questa corsa alla visibilità ha contagiato anche gli inquirenti che hanno gettato nel circo mediatico prima l’audio dell’interrogatorio di alcuni personaggi chiave, poi addirittura il video del sopralluogo nel garage dell’orrore con Michele Misseri. E’ la spettacolarizzazione di una tragedia, senza alcun rispetto per le persone. Una Tv che è vita più della vita.
La gente si indigna, ma resta incollata davanti al video. Accetta senza reagire il potere della Tv onnipotente. Nelle prediche salottiere il sentimento prevalente è il disgusto, ma come si parla di Avetrana (ora di Yara, la ragazza di tredici anni scomparsa nel Bergamasco) gli ascolti fanno un balzo in avanti. Il telespettatore “indignato” ha un’arma infallibile per cambiare questo sistema costruito sul pigro consenso del popolo: spegnere il televisore o cambiare canale. Ma è solo un’indignazione di facciata perché poi, nella pratica, nessuno compie quell’unico gesto concreto.
Il clamore mediatico ha finito per condizionare perfino le decisioni della magistratura. Nell’ordinanza cautelare emessa nei confronti di Sabrina Misseri si dice espressamente che “l’incontrollato clamore mediatico suscitato dalla vicenda, sull’intero territorio nazionale e forse anche oltre, ha consentito alla Misseri di intessere una rete vastissima di relazioni interpersonali, e comunque di appassionare alla sua vicenda umana, con sentimenti positivi o negativi, un’incalcolabile moltitudine di persone, tra le quali è ben probabile che vi sia pure qualcuno disposto ad agevolarne la fuga”.
E’ la prima volta che avviene una cosa del genere. Michele Misseri e la figlia Sabrina forse si sono macchiati di un delitto orribile, ma per ora sono solo indagati. Anche una confessione non è sufficiente per creare il “mostro” o l’”orco assassino”, per suscitare giudizi sommari e istigare istinti forcaioli.
Il diritto di cronaca non giustifica l’assalto a mamma Concetta al ritorno dall'obitorio o l’imboscata a Valentina, che porta il ricambio in carcere alla sorella Sabrina. Non è un buon servizio al lettore dare voce a tanti pseudo esperti, pagati a gettone nei salotti televisivi, che si smentiscono in base all'evolversi delle situazioni.
La rappresentazione mediatica del crimine supera ormai anche gli sviluppi giudiziari. Le notizie diventano la miccia per innescare il cortocircuito mediatico. Un dramma familiare, una tragedia sociale diventa puro spettacolo. Abbiamo creato il Grande fratello criminal-giudiziario, il primo Crime reality show della storia televisiva. Gli Ordini professionali (quello dei giornalisti e quello forense) hanno preso posizione e annunciato interventi disciplinari, ma non basta. Sono i giornalisti, gli avvocati e gli inquirenti che devono ritrovare la misura e i valori dell’etica. Corretta informazione non significa pubblicare ogni cosa che passa per le mani e far vedere tutto ciò che crea emozione e sensazione. Il problema dei giornalisti oggi è di avere la capacità di sapersi fermare, di saper rinunciare, anche di fare qualche passo indietro. Avere la sensibilità e la forza di non superare quel confine sottilissimo che separa il possibile dal lecito.