Niente più disoccupazione nel caso di dimissioni volontarie del giornalista a meno che non siano intervenute per giusta causa. L'Inpgi ha cambiato la disciplina del trattamento di disoccupazione dei giornalisti, che fino a oggi potevano riceverlo in qualsiasi caso, nel momento in cui decidevano di lasciare la propria testata.
Non è più così dal 16 ottobre scorso: l'istituto di previdenza ha ristretto i casi in cui questo è ancora possibile. La delibera, approvata il 30 luglio, la scorsa settimana ha avuto parere favorevole da parte del ministero del Lavoro e dal ministero dell'Economia.
I giornalisti non riceveranno più l'indennità di disoccupazione in caso di dimissioni o risoluzione consensuale anche in presenza di crisi aziendale. Continueranno a essere tutelati, spiega l’Inpgi, i casi di licenziamento, cessazione di contratti a termine, dimissioni per giusta causa, dimissioni durante il periodo di maternità e risoluzioni consensuali nell'ambito di una procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Nella «giusta causa» rientrano le dimissioni per mancato pagamento della retribuzione, dall'aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro, da modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, da mobbing, da «notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell' azienda», da spostamento del lavoratore da una sede a un' altra, senza che sussistano «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive» e infine da comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico. Restano quindi fuori da questa possibilità tutti gli altri casi che possono aver portato il giornalista alle dimissioni, per esempio il cambiamento dell'indirizzo politico del giornale (uno dei casi previsti dalla clausola di coscienza). Anche in caso di sottoscrizione di accordi extragiudiziali successivamente alle dimissioni per giusta causa, l'Inpgi stabilisce precise condizioni per non revocare il trattamento.