Ieri un collega ha deciso di togliersi la vita perché non riusciva a sopportare la mortificazione di una
precarietà che gli rubava i sogni e attentava alla sua passione per la verità da offrire ai cittadini. C’è sempre stato un dibattito sulla opportunità di dare la notizia dei suicidi, soprattutto quando le vittime sono giovani o giovanissimi e, per questo motivo, l’
Ordine nazionale dei giornalisti non aveva fatto alcun commento pubblico.
Ma è intollerabile che la risposta sostanziale della maggioranza parlamentare sia un incontro informale per recuperare la legge sulle intercettazioni perfino nella sua prima versione: un bavaglio maleodorante che si cerca di giustificare approfittando della pubblicazione di alcuni fiumi di intercettazioni telefoniche che fanno emergere scenari raccapriccianti tra affaristi e politici.
Una risposta sana a quella tragedia sarebbe stata una immediata messa all’ordine del giorno, in sede legislativa, della proposta sull’equo compenso del lavoro giornalistico, finalizzata a sanzionare con la privazione dei contributi pubblici quegli editori che trattano i giornalisti come schiavi, approfittando di complicità analoghe a quelle dei “caporali” che sfruttano gli immigrati nelle campagne del Sud e nel mondo dell’edilizia.
C’erano stati, a favore di questa proposta, un impegno pubblico del ministro della gioventù,
Giorgia Meloni (
maggio 2010) e uno davanti alle telecamere del presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi (
dicembre 2010). Da allora il silenzio. I colleghi continuano ad essere sfruttati da quei negrieri dei tempi moderni che ci sono tra gli editori che compensano i giornalisti con retribuzioni di pochi spiccioli di euro (anche 0,50 centesimi ad articolo, tasse comprese). E il Parlamento si occupa di altro, mentre la maggioranza pianifica non di colpire gli eccessi, ma di privare i cittadini del diritto alla verità.
Il
Presidente del Senato della Repubblica, Renato Schifani, quello della
Camera dei Deputati, Gianfranco Fini ritengono di poter fare qualcosa?