Confermata la condanna per diffamazione, con sentenza disposta dalla Corte di Cassazione (n. 14032) per una giornalista che in un servizio televisivo dedicato alle vittime della chirurgia estetica praticata in centri improvvisati, ha inserito anche la notizia di una paziente morta nello studio di un medico mentre si sottoponeva ad ozonoterapia.
Immediata la querela da parte del medico che, in possesso del titolo e senza una responsabilità nella morte della signora, era finito nel putiferio delle polemiche. Nel servizio mandato in onda dalla televisione, infatti, era stata inquadrata la targa dello studio del medico.
Per la Cassazione, quindi, l’accostamento delle notizie ha indotto il telespettatore a ritenere che anche il medico vero, riconoscibile grazie alle immagini trasmesse, fosse coinvolto nelle indagini sulle pratiche illecite.
Censurata dunque la confusione fatta accostando notizie solo all’apparenza omogenee.