Newsletter

Tieniti aggiornato sulle nostre ultime novità!

Link

inpgi
casagit
fondo giornalisti
fieg
Garante per la protezione dei dati personali
murialdi
agcom
precariato

Odg Marche: difendiamo un diritto di tutti

25/05/2009
I temi proposti nella giornata dell’informazione in un intervento del Presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, Gianni Rossetti:
 
Si è svolta in tutta Italia la giornata dell’informazione. Non è stata (e non voleva essere) una festa (c’è poco da festeggiare!); non è stata una celebrazione; è stato semplicemente un momento di riflessione. Perché i giornalisti hanno sentito l’esigenza di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema informazione? Perché oggi si torna a parlare di “liberta di stampa” e di “libera informazione”? Veramente questi “valori” sono in messi discussione? C’è un pericolo per la loro stessa integrità? Sul significato di questa giornata il Presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, Gianni Rossetti, ha mandato un intervento ai giornali con la speranza di suscitare una riflessione e una discussione.
 
Negli Stati Uniti si annuncia con un necrologio la morte della carta stampata. Il New York Times ne fissa anche la data. In Italia i giornali accusano pesanti e generalizzati cali di diffusione. Crollano le entrate pubblicitarie, per effetto indotto e perverso della crisi finanziaria ed economica che ha investito il pianeta. Gli editori annunciano progetti di ristrutturazione e tagli agli organici già all’osso. I giornali devono fare i conti con l’aumento dei costi della carta e della distribuzione e la concorrenza di Internet. L’orizzonte è denso di nubi nere. In questo quadro, già a tinte fosche, si inseriscono altri elementi, alcuni esterni, altri interni alla categoria.
Ci sono almeno tre motivi per imporci una riflessione; riflessione da fare non come referenzialità (parlando fra di noi), ma coinvolgendo i destinatari del nostro lavoro, cioè i lettori e gli ascoltatori.
Primo motivo le regole della professione: la legge che disciplina il lavoro dei giornalisti è un baluardo; i principi di base sono validi e attuali, ma la trasformazione dei media e la loro moltiplicazione, le tecniche e le tecnologie, oltre a nuove competenze e professionalità (giornali telematici, web radio e Tv, uffici stampa, professionisti free lance, ecc) impongono una profonda revisione delle regole. Da anni tutti sono concordi sull’esigenza di cambiamento, ma la categoria si è profondamente divisa su come cambiare queste regole. Ora, finalmente, c’è un sentire comune espresso in una proposta, approvata all’unanimità dal Consiglio nazionale dell’Ordine e presentata alle forze politiche che dovranno tradurla in un atto legislativo. Il 22 aprile scorso è stata presentata una proposta di legge che recepisce quel documento di indirizzo. Si interviene su punti nodali: nuove regole per l’accesso (un più alto livello di preparazione e qualificazione); una formazione permanente; una più rapida ed efficace applicazione dei principi deontologici (più severità verso chi sbaglia e soprattutto sanzioni più immediate); una ridefinizione dei meccanismi di selezione della rappresentanza (drastica riduzione dei componenti del Consiglio nazionale dell’Ordine). La proposta di legge è stata formalizzata; i giornalisti si battono perché faccia il suo corso e non resti, come in passato, insabbiata e dimenticata nella la montagna delle carte parlamentari.
Il secondo motivo sono i “bavagli”, palesi o mascherati, che vogliono imporre ai giornalisti. Le nuove regole sulle intercettazioni telefoniche (il cosiddetto decreto Alfano), se approvate, ridurranno drasticamente il diritto di cronaca che significa il dovere del giornalista di dare tutte le notizie (dopo averle attentamente verificate) e il diritto del cittadino a essere compiutamente e tempestivamente informato. Si parte sempre da un presupposto legittimo, cioè l’esigenza di tutelare l’indagato che spesso è sottoposto a processo mediatico prima ancora di diventare imputato. E qui i giornalisti hanno la loro parte di responsabilità. L’intenzione del legislatore con la riforma dell’89 era quella di consegnarci un Codice garantista che avrebbe dovuto finalmente assicurare la parità fra accusa e difesa. Quelle norme sono state però spesso applicate all’opposto rispetto alle intenzioni del legislatore. E i giornalisti, pur con qualche timida eccezione, hanno spesso avallato i teoremi dell’accusa presentando come certezze assolute i risultati delle operazioni di polizia giudiziaria. Con le nuove regole si vuole porre un freno all’uso e all’abuso delle intercettazioni, ma invece di incidere alla fonte (cioè evitando la diffusione delle intercettazioni illegali) si mette il bavaglio ai giornalisti. E’ come se per evitare uno spiffero d’aria che entra da una finestra decidessimo di murare tutta la parete. Se si vuole tutelare la privacy dei cittadini e garantire il principio costituzionale della presunzione di innocenza si eviti di inserire negli atti non più coperti da segreto quelle intercettazioni che riguardano la sfera privata dei cittadini e che nulla hanno a che vedere con le ipotesi di reato. La legge, così com’è, è un bavaglio al giornalismo e ai giornalisti. Se sarà approvata senza modifiche non si potrà più parlare di inchieste giudiziarie fino alla celebrazione del processo. Dopo l’arresto in flagrante dei presunti colpevoli di qualsiasi reato (ammesso che si riesca a sapere cosa è avvenuto e come!) sull’indagine calerà una coltre di silenzio che nessuno potrà oltrepassare, pena sanzioni draconiane (multe e sospensione dalla professione per il giornalista; multe pesantissime all’editore che di conseguenza potrà licenziare il giornalista). L’allarme arriva dagli stessi editori i quali affermano che non si può sanzionare la cronaca: “Il nostro sistema – ha detto Carlo Malinconico, Presidente della Federazione editori – si basa su una diarchia editore-direttore a garanzia della libertà di stampa. Se si prevede una responsabilità oggettiva per l’editore c’è il rischio il modificare il rapporto editore-direttore con ricadute pesanti sull’organizzazione del lavoro, sul contratto collettivo e sul libero esercizio della libertà di cronaca e di critica”. Insomma ogni articolo (che non sia la sagra paesana) non sarà più valutato dal direttore, ma dall’avvocato dell’editore. Addio autonomia delle redazioni !
Il terzo motivo di riflessione riguarda i nostri comportamenti. Dobbiamo chiederci perché i giornali e i giornalisti hanno perso quella carica di credibilità e di autorevolezza che avevano in passato. Montanelli diceva che noi “mestieranti della penna” (oggi del computer) abbiamo l’assoluta necessità di “conquistare la fiducia dei lettori”. La gente ci considera una casta; una categoria con tanti privilegi e stipendi da favola. I giornalisti (la massa dei giornalisti) non sono solo i pochi dei tolk show televisivi, i grandi inviati o le “firme” più ricercate. La stragrande maggioranza lavora al desk, ore e ore davanti al computer, senza orari e spesso in situazioni di precarietà se non addirittura di sfruttamento. Cinquemila giornalisti (soprattutto giornali locali, radio e Tv locali e nuovi media) hanno redditi al di sotto di 14 mila euro l’anno. Altro che privilegi! E’ vero però che spesso si informa con approssimazione, con scarso rigore, senza un adeguato controllo delle fonti e a volte con un italiano che fa a pugni con le regole della grammatica. Ora, come in tutte le campagne elettorali, viviamo momenti di fibrillazione e anche i giornalisti perdono di vista la luce della loro stella cometa, cioè la correttezza e l’imparzialità: giornali che si schierano, che entrano come parte nella kermesse elettorale; peggio ancora giornalisti che modificano il loro status e diventano “portavoce”, consulenti, addetti stampa o candidati loro stessi. Cosa legittima, per carità, ma correttezza ed etica professionale impongono di togliersi almeno… l’abito del giornalista. Per una fase, piccola e limitata della propria vita, si fa altro. Legittimo. Purché si eviti la confusione dei ruoli. Chi fa l’addetto stampa di un candidato o di un partito non dovrebbe scrivere e firmare sul proprio giornale. In alcuni casi è stato il giornale stesso a imporre una “temporanea sospensione” della collaborazione. Un atto di trasparenza che doveva nascere dall’etica personale e non da una direttiva generale, pur apprezzabile. Pochi casi ? forse. Ma sono quelli che screditano tutti. Come giornali e soprattutto Tv che fanno della mercificazione della notizia una regola di sussistenza. Purtroppo ce ne sono e il malcostume continua nonostante le sollecitazioni e gli inviti dell’Ordine professionale. Gli stessi politici si lamentano di dover pagare (con soldi pubblici) per avere la presenza di una troupe televisiva in occasione di certi eventi, ma sono poi i primi a stipulare convenzioni (sempre con soldi pubblici) per avere servizi a pagamento.
Ecco perché l’Ordine ha sollecitato una riflessione collettiva. Riflessione che riguarda tutti, non solo i giornalisti. Guardando la vastità e la varietà dei giornali presenti ogni giorno in edicola, o il ventaglio dei messaggi e delle informazioni che abbiamo a disposizione, forse il rischio di una compressione della libertà di stampa è limitato, ma i temi e i problemi proposti nella “giornata dell’informazione” sono seri e preoccupanti. I giornalisti si rivolgono ai cittadini per difendere un diritto di tutti. E lo fanno partendo da un’autocritica. Perché è migliorando noi stessi che alziamo la qualità dell’informazione. Dopo quasi mezzo millennio (dalle prime notizie diffuse attraverso le “Gazzette” fino al digitale) il giornalismo deve darsi una rotta precisa. Un giornalista, con qualunque strumento si esprima, deve avere un volto e dei valori di riferimento. Non può essere un comunicatore qualunque o, peggio ancora, un piazzista di idee…

 
Gianni Rossetti, Presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche