La
libertà (di stampa) in Italia è come la virtù del “giusto mezzo” degli osti del Manzoni: dove ognuno sta e ci sta anche abbastanza comodo. Se i giornalisti parlano bene di te e – meglio – male degli avversari politici, la libertà è sacrosanta, va difesa, ampliata, garantita e difesa fino allo stremo. Certo, se il giornalista, di te, parla male o – peggio – parla bene dei tuoi avversari politici: allora, forse, è indispensabile introdurre delle regole ed è necessario che le regole siano anche abbastanza stringenti.
Per il mondo dell’informazione, la libertà non può andare disgiunta dalla credibilità. Le lodi più sperticate o le accuse più infamanti non valgono nulla se il pulpito dal quale vengono pronunciate non è – di per sé! – autorevolmente accreditato.
Di più. I giornalisti non possono fermarsi nel recinto regionale e devono essere nelle condizioni di alzare lo sguardo per considerare l’intero sistema dei mass-media. L’Ordine dei giornalisti ha lanciato la proposta di organizzare un G-20 dell’informazione e ribadisce la necessità che le organizzazioni professionali dei maggiori Paesi costruiscano dei riferimenti deontologici capaci di avere un valore universale. Se il mondo politico della finanza comprende che la soluzione dei problemi non può dipendere dall’iniziativa di ogni singolo Stato e sente il bisogno di trovarsi per un G-20 dell’economia, perché non dovrebbe avvenire la stessa cosa per l’informazione?
I direttori delle testate, la stampa internazionale e i nuovi mezzi di comunicazione di massa devono diventare i protagonisti e i costruttori del loro futuro.