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REVISIONI. IL DOVERE DELLA VERITÀ

01/06/2015
Dieci presidenti di Ordini regionali  (Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta) hanno sottoscritto un documento per contestare una decisione del Consiglio nazionale dell’Odg in tema di revisioni.
Nel testo, diffuso da chi lo ha promosso sollecitando telefonicamente adesioni, vengono fatte affermazioni gravi e insultanti, senza contare il fatto che, con un comportamento che chiunque può giudicare, la Presidenza dell’Odg nazionale è venuta a conoscenza del documento tramite agenzie di stampa. Ciascuno può decidere di comportarsi come crede, rispettando i suoi parametri di buona educazione e di garbo istituzionale.
Gli Ordini regionali non sono fatti solo dai loro presidenti, che certamente ne hanno la rappresentanza, ma che altrettanto sicuramente non ne sono i padroni assoluti.
Il Consiglio nazionale non ha chiesto di bloccare le revisioni per “inattività” che possono riguardare solo quanti hanno meno di 15 anni di iscrizione. Tantomeno per “spregiudicati e strumentali” problemi di cassa che sono stati, invece, rappresentati da non pochi Ordini regionali – anche da qualcuno dei firmatari – e illustrati come preoccupazione di alcuni in occasione dell’ultima Consulta dei presidenti e dei vice presidenti.
Il CNOG, con una netta maggioranza, ha deciso di essere coerente con quanto tutti i vertici – nazionale e regionali – affermano in occasione di assemblee alle quali partecipano migliaia di colleghi sfruttati. Non solo quelli che vengono pagati pochi euro. Non soltanto quanti, facendo un lavoro giornalistico, si vedono versati i contributi, non per loro scelta,  ad altri enti di previdenza, e non all’Inpgi come si vorrebbe fosse. Anche questi colleghi, in base ad altri documenti di una certa area professionale, andrebbero cancellati dall’Ordine: programmisti registi, assistenti ai programmi, partite Iva di varia natura e prestazione, webmaster di ogni latitudine, quanti hanno contratti da metalmeccanico in certi siti.
Su questi, a difesa di questi, a rompere il silenzio è sistematicamente  solo il Consiglio nazionale.
Il Cnog si è preoccupato, nell’approvare quella delibera, di quei giornalisti che sono costretti, con il richiamo questo sì strumentale alla crisi del settore, ad accettare di continuare a collaborare perfino senza retribuzione per alimentare la speranza di una opportunità futura. Il Consiglio nazionale non condivide questo “volontariato” di necessità perché danneggia non solo  i diretti interessati, ma anche tutti gli altri colleghi.
La scelta del Cnog è stata quella di farsi carico dei problemi di questi colleghi. Non annullando l’obbligo delle revisioni, ma offrendo loro per un periodo limitato al massimo a due anni la possibilità di integrare la documentazione richiesta dalla legge.
Questa scelta è stata fatta in maniera pubblica. Trasparente. Consapevoli del rischio delle polemiche, moltiplicate dal fatto che alcuni si sentono già in campagna elettorale per il rinnovo degli organismi della categoria e si illudono, così, di trarne un vantaggio, alimentando una guerra tra ultimi.
La decisione del Cnog, che segue una precedente delibera, è consultabile sul sito. Chiunque può leggere i due atti e fare legittime valutazioni.
Quel che i colleghi, invece, non conoscono, perché questi elementi non sono pubblicati in alcun sito, è come quegli Ordini regionali intendono  il rispetto delle norme che “obbligano a procedere alla revisione degli elenchi almeno una volta l’anno”. Così scrivono.
Come agiscono? Presto detto, non con le insinuazioni, le manipolazioni, le strumentalizzazione. Ma con gli elementi noti in tema di revisione.
Il Lazio ha fatto l’ultima revisione circa 4 anni fa e per di più sorteggiando delle lettere; La Liguria l’ha fatta oltre tre anni fa; la Lombardia, un vero record, dieci anni fa; le Marche la fanno annualmente, con una procedura di preselezioni affidata alle certificazioni dei singoli membri del Consiglio (41 su 98 i pubblicisti cancellati nel biennio, e 4 su 16 i professionisti trasferiti di elenco); la Puglia ne ha avviata una massiccia nel 2014; la Sardegna circa 4 anni fa; la Sicilia la fa annualmente (nel 2014 sono stati cancellati 57 pubblicisti sui 355 sottoposti a revisioni e 10 dei 92 professionisti sono stati trasferiti tra i pubblicisti per mancanza dell’esclusività);  la Toscana l’ha fatta circa 4 anni fa; l’Umbria (il cui presidente si chiama Dante Ciliani e non Cigliani come approssimativamente scritto da chi ha promosso l’iniziativa dei dieci Odg) circa 4 anni fa; la Valle d’Aosta non la fa da circa sei anni.
Questi dati, incontestabili, consentono di trarre una morale: non si può chiedere pubblicamente comprensione e collaborazione per gli ultimi tra gli ultimi. Ma si può “violare la legge”: basta che non si sappia.