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L'accesso della polizia giudiziaria della Gdf nelle redazioni e nel sistema informatico del Sole 24 Ore - avvenuto venerdì notte nelle sedi di Milano e di Roma e nella redazione de La Verità, a margine dell'inchiesta sul finanziamento dei servizi segreti attraverso conti correnti accesi nella Popolare di Vicenza - ripropone con forza il tema della proporzionalità degli atti di indagine delegati dalla Procura, e perciò del rispetto dei diritti dei giornalisti, delle loro fonti e, in definitiva, dei lettori/cittadini.
Il presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti, prende posizione sull'episodio. Senza neppure entrare nel merito dell'ipotesi di reato - violazione del segreto di Stato - ciò che non quadra, e che non può passare sotto silenzio, è il metodo investigativo. Non è ammissibile che gli ufficiali di Pg ritengano di avere accesso - su delega in questo caso del procuratore capo di Roma - a tutta la memoria informatica dei dispositivi del giornalista, perché questo configura un chiaro eccesso (abuso) rispetto alle finalità dell'inchiesta - sulla quale peraltro potremmo discutere a lungo, magari ispirandoci alla giurisprudenza garantistica della Corte Ue - gravemente e irrimediabilmente dannoso della professione e della "affidabilità" del cronista verso le proprie fonti. Sul punto sarebbe opportuno che il Csm indicasse le linee guida delle attività investigative delle Procure nei confronti della stampa, un tipo di ingerenza peraltro già difficile da ammettere in una democrazia veramente compiuta. (www.odg.mi.it )