Troppo spesso nel mirino di mafia, camorra e terrorismo ci sono i cronisti. Perché proprio loro? Perché il loro mestiere è quello di informare i cittadini raccontando ciò che accade. Per questo, a volte, sono costretti a correre rischi molto alti. Da qui l’idea di creare un osservatorio” sui giornalisti minacciati dalla mafia o che vivono sotto scorta per aver ricevuto minacce. L’Ordine dei Giornalisti ha sempre espresso la propria solidarietà ai colleghi vittime di soprusi finalizzati esclusivamente a condizionare la libertà di stampa. “Però, certo – aggiunge il presidente Lorenzo Del Boca – non ci si può fermare alle pur doverose parole. Occorre un impegno più circostanziato e più propositivo per mettere in sicurezza coloro che rischiano di più, proteggerli e trarne un utile esempio. C’è un pezzo di categoria che, dell’informazione e della libertà che la presiede, offre una testimonianza poderosa. Non possiamo lasciarli soli”. L’osservatorio nascerà con il patrocinio dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti e la Federazione nazionale della Stampa “con l’obiettivo di avere una visione completa ed aggiornata su ogni tipo di minaccia alla libertà di stampa e, soprattutto, con l’obiettivo di costruire attorno a loro robuste barriere che salvaguardino la loro vita e il loro lavoro. Le aggressioni ai giornalisti rappresentano gravissimi attacchi alla libertà di cronaca. Occorre inoltre garantire il diritto dei cittadini ad una informazione libera da condizionamenti”.
L’idea è stata lanciata da Alberto Spampinato, consigliere nazionale della Fnsi, nell’ambito del convegno “Mafia, intercettazioni, cronisti sotto scorta” organizzato a Palermo. “L’osservatorio – ha precisato Spampinato – si rende necessario per avere una lettura unitaria dei problemi che affliggono la categoria che spesso vive un condizionamento e un’umiliazione quando, autocensurandosi, è costretta, per paura, a non pubblicare notizie scomode in proprio possesso”.
Occorre, perciò, una presa di coscienza della categoria dei giornalisti ma anche una rete di partecipazione della cosiddetta società civile. Prima ad aderire la Fieg: Federazione editori giornali.
Il presidente del Centro Studi Pio La Torre, Vito Lo Monaco, nel suo intervento ha sottolineato come “questa sia una fase storica nella quale il mondo giornalistico subisce condizionamenti e autocensure e alcuni suoi rappresentati subiscono attacchi da parte della mafia. Per di più alcuni provvedimenti recentemente approvati dal governo sembrano limitare la libertà d’informazione, impedendo, fino alla fine dei processi, di pubblicare notizie in merito alle indagini in corso”.
Franco Nicastro, presidente dell’Ordine regionale dei Giornalisti, ha ricordato che “un giornalismo fatto di ricerca rappresenta il fil rouge che accomuna le storie di tutti gli otto giornalisti siciliani uccisi dalla mafia e tra di loro: Giovanni Spampinato e Mario Francese. Purtroppo però, per molto tempo, a livello nazionale, il tema dei cronisti sotto scorta è stato rimosso”.
“Nell’aumento dei cronisti sottoposti a scorta, vedo un fenomeno di regressione culturale che si evidenzia nella rinuncia nel coltivare un giornalismo di inchiesta - ha sottolineato Gaetano Paci, pm della Dda di Palermo - Fare informazione antimafia non significa pubblicare integralmente le fonti giudiziarie. Mi chiedo se esista un’etica dell’informazione dato che spesso si pubblicano atti giudiziari che espongono a rischi i soggetti citati”.
Per testimoniare la propria condizione di giornalisti oggetto di intimidazioni e costretti a vivere sotto scorta erano presenti Lirio Abbate, dell’Ansa e Nino Amadore del Sole 24 ore. “Fuori dall’Ordine i giornalisti collusi con la mafia” è stato il grido di Lirio Abbate. “In presenza di intercettazioni che attestino l’accoglimento da parte di giornalisti di richieste da parte dei mafiosi, non occorre aspettare la sentenza della Cassazione per sancire la radiazione”.
Nino Amadore ha invece voluto sottolineare le difficoltà e i condizionamenti che molto spesso sono costretti a subire i cronisti che lavorano in piccoli paesi della Sicilia e della Calabria, spesso per appena quattro, cinque euro a pezzo. “La vera informazione antimafia – ha detto l’autore de “La zona grigia” – si fa nei consigli comunali dei piccoli paesi della nostra regione e della Calabria dove vengono decise le spartizioni degli appalti”.