Sono ormai migliaia i messaggi di solidarietà, su Facebook e Twitter, per
Giovanni Tizian, il giornalista precario 29enne di origine calabrese - collaboratore dal 2006 della '
Gazzetta di Modena' - che da venti giorni è sotto scorta perché
minacciato dalla criminalità organizzata a causa delle sue inchieste su casalesi, 'ndrangheta e Cosa nostra, che ''
operano in Emilia-Romagna come se fossero a casa loro''. Una vita, la sua, segnata per la prima volta dalla criminalità organizzata a sette anni, quando la 'ndrangheta - il 23 ottobre '89 - uccise suo padre, funzionario di banca, a Locri mentre tornava a casa dal lavoro.
''Decine di telefonate, centinaia di messaggi, mi ha chiamato chiunque: rendere pubblico ciò che mi sta accadendo ha certamente eretto un bel muro di speranza. Mi sento più sicuro. Condividere fa bene e serve a non sentirsi soli'': così il cronista sintetizza oggi sulla 'Gazzetta', sotto il titolo 'Vado avanti', la sua 'giornata sotto i riflettori'. ''Uno degli attestati di solidarietà che mi ha commosso maggiormente e' la campagna lanciata dall'associazione 'daSud' e da Stop'ndrangheta.it, 'Io mi chiamo Giovanni Tizian'. Un appello per tutelare me, ma anche tutti i giovani giornalisti precari di questo Paese''.
''Parlare di narcotraffico e di pizzo - scrive Tizian, che ha appena pubblicato per Round Robin un libro, 'Gotica', in cui ha raccolto la sua attività di cronista di giudiziaria e le inchieste realizzate anche con il mensile Narcomafie e Linkiesta.it - è parlare, in fondo, di una questione di ordine pubblico. Ricostruire i percorsi del denaro mafioso vuol dire demolire la facciata di legalità creata con la complicità dei cosiddetti 'colletti bianchi'. Rapporti che rendono i boss invisibili e socialmente accettati. E succede così che l'apertura di un negozio etnico suscita più allarme sociale rispetto alla colonizzazione dei territori da parte delle cosche. Che in questi territori, oltre la linea Gotica si sentono forti, e protette. Tanto che vorrebbero con le loro intimidazioni bloccare i giornalisti che fanno inchieste sui loro affari. Giovani giornalisti, precari ma con una passione immensa. Che rischiano e amano il proprio lavoro, che per pochi euro, al Sud come al Nord, mettono in gioco la propria vita per far conoscere a tutti questa realtà. Giovani cronisti che vivono una doppia vulnerabilità, fisica ed economica''. (ANSA).
Giornalista sotto scorta: ODG,pagato meno di una colf
''Rischiare la vita per amore della verità e del proprio mestiere è un atto di grande civiltà. E di coraggio. Soprattutto di questi tempi in cui conquistano le pagine dei giornali i furbetti che evadono il fisco o si fanno pagare case e ferie da nababbi a loro insaputa.
Rischiare la vita per quattro euro a pezzo può sembrare una follia, ma e' un grande insegnamento per chi lo vuol cogliere''.
Lo sostiene Gerardo Bombonato, presidente dell'Ordine dei Giornalisti dell'Emilia-Romagna, che ha commentato così, dando voce a un sentimento condiviso da tutto l’Ordine dei giornalisti, la vicenda di Giovanni Tizian. Un caso che dimostra che ''sono sempre più i collaboratori e i cosiddetti free lance a trovarsi in trincea su temi delicati e pericolosi, senza alcuna garanzia contrattuale e con paghe che gli editori non darebbero neppure alle loro colf''.
Tizian, ''con grande dignità e riservatezza, ci propone questo insegnamento con la sua storia personale e familiare, il suo impegno, la sua passione, il suo lavoro. Giovane giornalista iscritto all'Ordine dell'Emilia-Romagna da due anni, ma da molti di più impegnato in tante inchieste sulle mafie in Calabria e nella nostra regione. Precario come tanti altri colleghi che intraprendono questa professione tra mille difficoltà e, purtroppo, spesso con poche speranze, e' finito nel mirino della criminalità. Costretto per i suoi articoli a vivere una vita condizionata, sotto scorta. Oggetto di intimidazioni ricorrenti, intensificatesi dopo la pubblicazione del suo libro 'Gotica' dove racconta come le mafie abbiano varcato la storica linea e si siano radicate al Nord con attività apparentemente lecite.
Anche in Emilia-Romagna, dove la mafia spara poco, ma ricicla molto''.
La sua vicenda ''dev'essere un monito e l'occasione per un esame di coscienza che come Ordine abbiamo già avviato, ma che tocca anche politici ed editori. I primi perché per troppo tempo hanno preferito tacere sul fenomeno mafioso in Regione e solo di recente si sono svegliati e timidamente stanno affrontando il problema. I secondi perché, molto spesso consapevolmente, alimentano un precariato giornalistico con compensi inaccettabili per la dignità del lavoratore e la qualità dell'informazione''. (ANSA).