Il mitico direttore del “Washington Post”, Ben Bradlee, scomparso il 21 ottobre 2014, è stato ricordato dai due Premi Pulitzer dello “Scandalo Watergate”, Carl Bernstein e Bob Woodward, nel reportage “Tutti gli uomini del direttore” (la Repubblica, 9 novembre 2014).
Per Bernstein e Woodward, Bradlee ha trasformato non solo il “Washington Post”, ma anche la natura e le priorità stesse del giornalismo. Non era mai cinico, scrivono, ma persistentemente scettico. E il tema che ha segnato la sua vita – in un modo singolarmente privo di arroganza – è stato quello della totale riverenza nei confronti della verità. E sottolineano: “Con lui abbiamo vissuto in trincea la vicenda del Watergate”. Bradlee era come un’ ancora di salvezza che offriva un senso di calma rassicurazione. Per lui era tutta una questione di fatti. Quali erano? Erano stati verificati? Chi affermava qualcosa di diverso?
Non potevi dire di essere un reporter se Bradlee non ti aveva mai sottoposto a un interrogatorio. Bernstein e Woodward precisano che a un certo punto, durante quella vicenda, gli riassunsero ciò che era stato detto da una delle loro fonti. “No”, insistette Bradlee, “voglio sentire esattamente cosa gli avete domandato e che cosa vi ha risposto”.
Spesso passava a trovare i reporter, tutti smettevano di lavorare, e da un centinaio o più di scrivanie gli occhi dell’intera redazione rimanevano incollati su di lui, pronti a cogliere qualsiasi segnale. Se due o tre dei suoi reporter stavano facendo capannello, Bradlee si avvicinava a loro. Forse avevano per le mani qualcosa e lui voleva sapere di cosa si trattava.
Bernstein e Woodward hanno anche scritto che Bradlee era l’essenza stessa del giornalismo e che nel 2008 era tornato a sedersi tra di loro per parlare del Watergate, della sua vita e del Post. In quell’occasione aveva anche fatto delle riflessioni sulla repentina trasformazione dei mezzi di comunicazione, riconducibile tra l’altro al declino economico dei giornali, all’avvento di internet e – cosa che lo preoccupava particolarmente – all’impazienza e alla velocità del flusso delle notizie. Secondo lui c’era troppa preoccupazione per il fatto che i quotidiani sarebbero potuti scomparire: “Non posso immaginare un mondo senza giornali. Posso immaginare un mondo in cui i giornali si stampano e si distribuiscono in maniera diversa, ma la professione dei giornalisti continuerà a esistere, e il loro scopo continuerà a essere quello di riferire ciò che ritengono essere la verità. Questo non cambierà”.