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Comunicare la disabilità: l'esperienza del Giro d'Italia Handbike

20/03/2016
Sole. Pioggia. Sudore. Fatica. Impegno. Competizione. Battaglia. Passione. Tutto questo è il Giro d’Italia Handbike, la manifestazione dedicata allo sport paralimpico, giunto ormai alla sua settima edizione e che ripartirà il prossimo 3 aprile da Crema.
Un evento di carattere nazionale che ha all’attivo una sua storia: dalla prima edizione (2010) della corsa sino al 2015 sono state organizzate ben 50 tappe, toccate 13 Regioni e 3 Stati (Italia, Repubblica di San Marino e Svizzera). In tutto sono 9 le categorie di atleti, suddivise in 5 maschili e 4 femminili, alle quali sono state aggiunte, dallo scorso anno, le categorie PIT (Paracycling Italian Tour). E i numeri parlano da sé.
Sole. Pioggia. Sudore. Fatica. Impegno. Competizione. Battaglia. Passione. Tutto questo è il Giro d’Italia Handbike, la manifestazione dedicata allo sport paralimpico, giunto ormai alla sua settima edizione e che ripartirà il prossimo 3 aprile da Crema.
Un evento di carattere nazionale che ha all’attivo una sua storia: dalla prima edizione (2010) della corsa sino al 2015 sono state organizzate ben 50 tappe, toccate 13 Regioni e 3 Stati (Italia, Repubblica di San Marino e Svizzera). In tutto sono 9 le categorie di atleti, suddivise in 5 maschili e 4 femminili, alle quali sono state aggiunte, dallo scorso anno, le categorie PIT (Paracycling Italian Tour). E i numeri parlano da sé.
Una sfida, dunque. Sfida ormai consolidata dai successi degli scorsi anni, che rappresenta un’eccellenza sportiva e che, nel corso delle diverse edizioni, ha saputo raggiungere risultati considerevoli, sia in termini di partecipanti, sia di spettatori e volontari impegnati nell’organizzazione delle diverse tappe.
Fondamentale e prioritario diventa il risvolto sociale che questa gara è in grado di trasmettere: #voialcentro, questo l’hashtag scelto per l’edizione 2016. Non solo vengono coinvolte persone con disabilità, ma ne diventano proprio i protagonisti. Protagonisti di una storia da scrivere ogni anno, dopo ogni gara, dopo ogni fatica, dopo ogni battaglia. Che sia vinta o persa. Ma nel momento in cui si ha il coraggio di osare, di competere, di partecipare, ogni atleta ha già vinto. Sì, proprio così, ha già vinto la sua battaglia personale, è andato oltre, oltre le barriere, che spesso spaventano, ma che questi uomini e donne coraggiosi superano mettendosi in gioco. Vivendo. Rinascendo. E Vincendo. Nella vita.
Sette saranno le tappe della prossima edizione, che si presenterà innovativa, fresca e con un testimonial d’eccezione: il comico e attore Paolo Ruffini. Che lancia un messaggio importante: la resilienza. Concetto che ‘parte dalla fisica, per espandersi alla psicologia: è la volontà di reagire a un trauma, riorganizzando la propria vita in maniera ottimistica e positiva. Avere a che fare con persone resilienti, attive, positive, è motivo di crescita e di ricchezza interiore. Esempi di speranza, e di forza. Con l’idea di volersi migliorare e superarsi, ogni giorno di più. Trasformare il limite in possibilità; considerare la vita una grande opportunità; permettersi la felicità di esserci, con imprudenza e coraggio, disobbedendo fermamente alle avversità che la vita può offrire ed essere portatori di una forza d’animo ferocemente splendida’. 
Soddisfatto anche il Presidente del Giro d’Italia Handbike Walter Ferrari: “E’ una grande emozione per me essere alla guida di una Manifestazione di successo come il Giro d’Italia di HandBike e di un Team affiatato e consolidato negli anni”.
La manifestazione si conclude con un prestigioso evento di fine stagione, ovvero “The Night of Diamond of Fame”, ideato da Andrea Leoni (così come è sua anche l’invenzione del Giro Italia Handbike) e fortemente voluto da Alessandra Tagliabue, Presidente della Life4Live ONLUS che con la sua caparbietà è riuscita a portare avanti un desiderio. Suo e di tante persone. E ci è riuscita in pompa magna, grazie anche alla collaborazione di diversi professionisti tra cui Roberta Ceppi e l’avvocato Pippo Galli. Un’iniziativa  benefica di raccolta fondi che consegna un premio rivolto al miglior atleta Paralimpico Nazionale che si è distinto per i successi annuali in ambito internazionale e che l’anno scorso è stato consegnato a MARTINA CAIRONI, campionessa paralimpica a Londra 2012 sui 100 mt piani.
Ma non basta solo avere grandi idee e organizzare grandi eventi. Alla base di tutto sta il saperli comunicare. Sapere veicolare un tema di carattere sociale, sportivo e, soprattutto, umano. Occorre sapere descrivere anche le emozioni piu’ recondite di questi atleti, cercando di entrare in empatia con la situazione e con gli attori coinvolti nella scena. Ma approfondiamo meglio questo discorso con Fabio Pennella, responsabile della comunicazione del Giro d’Italia Handbike, e Claudio Arrigoni, giornalista che da anni si occupa di sport paralimpico. Con una grande sensibilità e dedizione.
 
Non sempre è facile comunicare l’argomento disabilità. Secondo te, quali sono le carenze conoscitive dei protagonisti della comunicazione relativamente a questo mondo?
Pennella: La prima fondamentale carenza è proprio la mancanza di conoscenza dell’argomento, ti faccio un esempio: se noi domandassimo a tre giornalisti differenti di fornirci la loro definizione di disabilità, otterremo sicuramente tre risposte diverse. Ecco la prima grande carenza.
Arrigoni: Il mondo paralimpico è relativamente giovane, nasce dopo la seconda guerra mondiale, ma è solo negli anni del nuovo secolo, più in particolare con la Paralimpiade di Londra, che ha cominciato a essere conosciuto. Un grande impulso lo hanno Oscar Pistorius a livello mondiale e Alex Zanardi in Italia. Oscar ha sdoganato lo sport paralimpico sia nel mondo dello sport, grazie al suo obiettivo raggiunto di partecipare all’Olimpiade, sia al di fuori, grazie alla partecipazione a spettacoli e ai tanti premi vinti. Quello che manca a chi si occupa di comunicazione è lo studio: sono pochissimi, quasi in Italia non ce ne sono, coloro che conoscono lo sport paralimpico e lo sanno raccontare nella maniera giusta. Il grande impulso dato da Luca Pancalli al mondo paralimpico serve anche a questo, ma occorre tempo.
 
Raccontare la disabilità con immagini di normalità significa…

P: Vedere la stessa immagine da un’altra prospettiva, un’immagine di normalità o quotidianità semplicemente differente.
A: Guardare le abilità e non la disabilità. Arte e sport aiutano molto in questo. Phil Craven, presidente dell’Ipc, lo aveva chiesto prima di Londra: “Non usate qui la parola disabile”. E di fianco a lui Oscar PIstorius ripetè: “Non sei disabile per le disabilità che hai, sei abile per le abilità che hai”. Il salto culturale è questo: passare dalla cultura dell’integrazione a quella dell’abilità. Credo che lo sport aiuti molto in questo.
 

A quale tipo di coinvolgimento personale lasciate spazio quando interagite con questo mondo?
P: Per scelta personale ho sempre deciso di non mettere paletti, il mio coinvolgimento emotivo è al 100%. Solamente cosi’ ho avuto modo e piacere di conoscere la vera disabilità e, soprattutto, di imparare che la vita basta guardarla con occhi diversi.
A: L’emozione. Credo che questo debba essere sempre, quando si fa comunicazione, ma in particolare nel racconto dello sport paralimpico credo sia fondamentale. Emozionarsi per saper emozionare.
 
C’è un messaggio che intendete trasmettere alle istituzioni, affinché comprendano che la condizione di un diversamente abile sia da valorizzare attraverso politiche che vadano nella direzione di garantire a queste persone speciali una vita indipendente?
 
P: Bisognerebbe cercare di far capire alle istituzioni che la disabilità non riguarda solamente una certa categoria di persone, ma riguarda tutti. Tutti noi potremmo essere potenzialmente disabili, riguarda le famiglie, riguarda le comunità, riguarda ognuno di noi in prima persona è una realtà etica e sociale.
A: Il messaggio è quello che viene da chi assiste a una gara qualsiasi di sport paralimpico: scoprire le abilità e, quindi, fare in modo che le persone con disabilità siano viste e apprezzate sempre più risorsa della società. Solo così costruiremo una società giusta.
 
Come si racconta la “disabilità”? E cosa si veicola parlando di questa realtà ‘raccontabile’?

P: Il primo errore da non commettere è quello di raccontare la disabilità con gli occhi del pietismo. La disabilità va raccontata da un altro punto di vista, da una prospettiva differente, esaltando le doti, i successi e gli obiettivi conseguiti con una diversa abilità, facendo capire a chi legge o guarda che si possono fare tantissime cose semplicemente aprendo la propria mente.
A: La disabilità si racconta nella stessa maniera in cui si raccontano altre realtà, mostrando nello stesso tempo la semplicità e l’eccezionalità di ciò che si incontra e si vuole trasmettere. In questo lo sport paralimpico aiuta molto. Alle Paralimpiadi girava questa frase: quante storie bellissime ci sono da raccontare a una Paralimpiade? Tante quanti atleti ci sono. Non è vero, chiaramente, ma ci si avvicina molto.
 
La rete, permettendo la moltiplicazione dei canali, rende possibile anche un’informazione individualizzata, di nicchia e per temi specifici: questa evoluzione ha portato a dei reali cambiamenti positivi per quanto riguarda l’informazione sulla disabilità?
 
P: Assolutamente si, l’informazione è aumentata. Per quanto riguarda il nostro Paese siamo ancora ben lontani alla comparazione con alcuni Paesi esteri, ma siamo sulla buona strada, ben vengano i canali “tematici”, ma senza correre il rischio di diventare dei ghetti. A quel punto si andrebbe a perdere il messaggio di inclusione e tutto si trasformerebbe in qualcosa di sbagliato; quindi, la mia risposta è si, sono assolutamente favorevole, ma solo se il fine resta quello di una maggiore informazione e conoscenza.
A: Sicuramente ha fatto in modo che si espandesse la possibilità di comunicare. Purtroppo, come è accaduto in altri ambiti, il rischio è che passi ogni cosa, senza un vero criterio di selezione. Per lo sport paralimpico accade spesso, ma credo che il tempo anche in questo aiuterà.

Questa è un’avventura che va vissuta, un’indescrivibile esperienza. Sì, indescrivibile perché va provata. Non esistono parole per raccontare cio’ che il cuore tenta di comunicarti in quel momento, quell’emozione che ti colpisce tutta d’un fiato e ti ammutolisce, senza parlare. Sì, perché le immagini parlano da sé. Un sorriso, uno sguardo, una lacrima, una commozione ti annichiliscono il cervello. Puoi solo stare a guardare. Meditare. E ammirare questi campioni. Sì, perché è da loro che abbiamo tanto da imparare. Adesso e per sempre. E ricordiamoci che ‘le barriere piu’ grandi sono quelle della mente’.
 
 
LE TAPPE DI QUESTA EDIZIONE 2016:
-        1^ CREMA (CR) DOMENICA 3 APRILE
-        2^ CASTELLANZA (VA) DOMENICA 10 APRILE
-        3^ IMOLA (BO) DOMENICA 8 MAGGIO
-        4^ CESANO MADERNO (MB) DOMENICA 26 GIUGNO
-        5^ FOSSANO (CN) SABATO 9 LUGLIO
-        6^ RIVAROLO CANAVESE (TO) SABATO 16 LUGLIO
-        7^ BAIA DOMIZIA (CE) DOMENICA 18 SETTEMBRE