Con sentenza n. 5 del 17 febbraio 2009, la Corte d’Appello di Milano ha respinto il ricorso di Renato Farina, radiato nel marzo 2007 dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti per il suo coinvolgimento con i Servizi Segreti.
1. Dimissioni in pendenza di procedimento disciplinare
Con il primo motivo di ricorso, l’appellante censurava la decisione del Tribunale di Milano, che confermava la sanzione comminata dal Consiglio nazionale, affermando la carenza di giurisdizione del Consiglio nazionale. Il ricorrente si era, infatti, dimesso dall’albo mentre era in corso il procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio nazionale e ciò legittimava, secondo il ricorrente, la caducazione di qualsiasi potere nei suoi confronti da parte dell’Ordine.
La Corte d’Appello dimostra che il motivo non ha fondamento, sostenendo a) quanto al preteso difetto di giurisdizione, che in realtà il CNOG non è un organo giurisdizionale, né ha carattere giurisdizionale il procedimento disciplinare che davanti ad esso si svolge; b) non ha senso parlare di difetto sopravvenuto del potere disciplinare, una volta che esso sia stato già esercitato in costanza di iscrizione e con riferimento a illeciti compiuti nella vigenza della qualità di iscritto; c) quanto all’ipotizzata cessazione della materia del contendere, è erroneo pensare ad un venir meno dell’interesse alla prosecuzione dell’azione disciplinare, quanto meno da parte dell’Ordine, non solo a tutela del suo diritto e del suo “interesse sanzionatorio”, ma altresì “a maggior tutela dei fini che l’Ordine stesso istituzionalmente persegue”, visto che il procedimento disciplinare risponde anche a finalità pubblicistiche, la cui tutela non può venire mai meno. La Corte conclude definendo la cancellazione intervenuta quale espediente chiaramente finalizzato ad evitare il risultato afflittivo conseguente (e previsto) della prosecuzione dell’azione disciplinare, “costituendo dunque elusivo escamotage posto in essere per aggirare la procedura sanzionatoria, per di più confidando nella non rimossa possibilità di ottenere successivamente una nuova iscrizione a ‘fedina disciplinare’ ancora immacolata”.
2. Rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si doleva poi del fatto che il Tribunale (ma prima lo stesso CNOG) non avesse accolto la sua richiesta di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale avviato in parallelo nei suoi confronti.
Nel rigettare anche questo motivo di ricorso, la Corte ricorda due principi orientativi fondamentali, e cioé a) il principio della autonomia della valutazione disciplinare rispetto a quella effettuata dall’autorità giudiziaria in sede penale, e b) il principio secondo il quale la sospensione del processo è necessaria solo quando la previa definizione di altra controversia, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Diversamente il procedimento disciplinare non deve essere necessariamente sospeso: anzi, nel caso di specie, poi, non sussisteva neppure la necessaria coincidenza fra i fatti oggetto del procedimento disciplinare e quelli oggetto del procedimento penale.
3. Gravità della sanzione applicata
Per quanto riguarda, poi, la pretesa che la sanzione irrogata sia eccessiva, la Corte perentoriamente afferma che tutte le censure sotto questo profilo sono del tutto inconferenti: “la sanzione irrogata all’appellante appare infatti del tutto congrua e più che proporzionata rispetto alla sua ingiustificata ed ingiustificabile condotta”. Ricordato che non esiste alcun dubbio in giudizio sull’esistenza dei fatti illeciti addebitati all’incolpato, che non solo sono emersi in sede penale, ma sono stati altresì oggetto di confessione dello stesso incolpato, sia prima e fuori del processo disciplinare, sia durante e dentro quest’ultimo, e dopo aver sintetizzato attentamente i fatti come emergenti dal processo penale, la Corte precisa che la condotta del ricorrente è stata di “gravità eccezionale”: “si è in ultima analisi trattato di una violazione grave dell’obbligo di fedeltà esclusiva alla propria professione ..., di un vero e proprio tradimento della funzione più caratteristica della professione giornalistica e delle elevate, connaturate e irrinunciabili finalità della stessa; ... tradimento che in ogni caso appare anche oggettivamente tale per come – in fatto – verificatosi”.
Ne è derivata, pertanto, la piena conferma della sanzione irrogata dal CNOG, “assai difficilmente potendo immaginarsi un comportamento in grado di compromettere in modo più irreparabile e definitivo la libertà, la dignità ed il prestigio professionale dei giornalisti e da risultare più incompatibile con la permanenza nel relativo Ordine professionale”.