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Diffamazione, il bavaglio del Senato

05/11/2014
 
Sono passati 30 anni dalla storica sentenza della Cassazione sul "decalogo del giornalista", cioé sui limiti al diritto di cronaca, che aprì le porte al giudizio civile di risarcimento danni a prescindere dalla querela in sede penale.
E dopo sei lustri il Senato della Repubblica, a fine ottobre, ha perso la grande occasione di tutelare il diritto dei cittadini ad avere una informazione libera, rispettosa della verità e delle persone. Si è limitato, per non incorrere nelle sanzioni dell'Europa, ad eliminare il carcere per i giornalisti. Ma l'insieme delle norme mantiene tutto l'effetto intimidatorio con la previsione di una sanzione che può arrivare a 10.000 euro in caso di un errore.
 
L'equivalente del compenso di 1.000 o più articoli per migliaia di giornalisti. Come si tuteli in questo modo la libertà dell'informazione è un mistero che solo le tortuosità della politica possono tentare di spiegare.
 
Come si tuteli il diritto dei cittadini alla verità, prevedendo un obbligo di rettifica senza alcun commento da parte dell'autore dell'articolo, è un altro mistero: i ladri, i corrotti di turno, i mafiosi di ogni latitudine avranno la possibilità di suggestionare l'opinione pubblica con la loro ultima parola. Il giornalista dovrà tacere, limitandosi a fare da cassa di risonanza alla loro "verità".
Una vergogna.

Per intenderci, se io scrivo che Tizio ha rubato dieci gelati e invece ne ha rubati nove, la rettifica di Tizio sarà di questo tenore: non ho rubato dieci gelati e nessuno potrà replicare alla sua verità.