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Trasmettere agli organi di stampa fotografie di una persona accusata in un procedimento penale costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: questo il senso di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Un principio ripetutamente sostenuto dal Garante per la protezione dei dati personali. Di seguito il testo integrale della nota pubblicata dall’Autorità (www.garanteprivacy.it , newsletter 3/9 gennaio 2005): “Trasmettere agli organi di stampa fotografie di una persona accusata in un procedimento penale costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il principio è stato affermato in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (50774/99, 11 gennaio 2005), originata dal ricorso di un’insegnante italiana - fermata e posta agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere, evasione fiscale e falso - la cui fotografia, scattata durante le indagini, era stata diffusa nel corso di una conferenza stampa delle forze dell’ordine e quindi pubblicata su diverse edizioni di due quotidiani locali. La sentenza conferma i principi già sostenuti in numerosi provvedimenti dal Garante italiano, il quale è più volte intervenuto stabilendo il divieto di diffondere le foto segnaletiche, anche nell’ambito di conferenze stampa, se non ricorrono fini di giustizia e di polizia o motivi di interesse pubblico. I giudici di Strasburgo hanno messo in evidenza che rispetto ad altri casi oggetto di precedenti pronunce della Corte (cfr. Von Hannover/Germania, 59320/00, 24 giugno 2004) la fattispecie in esame presentava alcune peculiarità: essa, in primo luogo, non riguardava un personaggio pubblico; inoltre, la foto pubblicata proveniente dal fascicolo d’inchiesta era stata fornita ai giornali da agenti della Guardia di finanza. Il fatto che, nel caso di specie, la ricorrente non fosse un personaggio pubblico - secondo la Corte - giustifica una contrazione della legittima "zona di interazione tra l'individuo e i terzi" (più ampia, evidentemente, nel caso di persone celebri) che non può espandersi in ragione del coinvolgimento della donna in un procedimento penale. Per accertare la lamentata ingerenza nella sfera privata, la Corte ha valutato - conformemente alla sua giurisprudenza - il rispetto dei requisiti previsti dall’Art. 8(2) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale comma stabilisce, infatti, che si possa interferire con la vita privata di una persona soltanto se ciò è “previsto dalla legge”, e “necessario, in una società democratica” per raggiungere gli scopi indicati nello stesso comma (pubblica sicurezza, protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o protezione dei diritti e della libertà altrui.). In particolare, quanto al primo punto, i giudici hanno ravvisato l’inapplicabilità al caso in oggetto dell’eccezione al segreto degli atti di indagini prevista dall’articolo 329(2) del codice di procedura penale italiano. Tale eccezione riguarda unicamente la circostanza in cui la pubblicità di uno degli atti sia necessaria ai fini della prosecuzione dell’indagine, il che non è sostenibile nel caso di specie. Pertanto, la Corte non ha riscontrato la presenza di previsioni normative che giustificassero l’ingerenza nella vita privata della ricorrente, e non ha ritenuto di doversi pronunciare sull’altro requisito imponendo allo Stato italiano di risarcire l’insegnante delle spese processuali”.