Ho trascorso quasi metà della mia vita professionale dietro una cattedra. Anche se in forte coabitazione con una intensa attività giornalistica quotidiana (carta stampata, Tv, e non solo) l’insegnamento, a vari livelli, è stato il mio primo impegno. Non appena arruolato nel mondo scolastico mi sono da subito trovato di fronte ad impegni di aggiornamento, a corsi di diversa portata temporale anche se non produttivi di “crediti” come oramai si usa non solo nelle attività professionali ma anche a livello studentesco.
Si trattava di corsi tra i più vari e dalle durate più disparate. Mi limito citare i primi che mi sovvengono alla memoria: dodici giorni in un albergo di Torvaianica (litorale laziale) sulla età evolutiva e le sue problematiche; quattro o cinque pomeriggi tra Marche ed Umbria sull’inserimento dei portatori di handicap; i “decreti delegati” e la nuova organizzazione scolastica. Come ho detto, dall’inizio, venni coinvolto in queste attività, molte delle quali davvero utili e formative perché, come è noto, la formazione universitaria non ha particolare attenzione – in molte facoltà addirittura nessuna – verso il mondo di quelli che un linguaggio arcaico e burocratico chiamava “i discenti”.
Mi è quindi sembrato sempre molto strano che il mondo giornalistico, nel quale sono vissuto in esclusiva un quarto di secolo, non abbia mai sentito come importante, preminente se non fondamentale il suo aggiornarsi - se non formarsi – periodicamente. Magari ogni tanto sulla deontologia professionale, sulla evoluzione della professione, sui “movimenti” in atto in paesi tradizionalmente all’avanguardia come quelli del mondo anglosassone. In questo quarto di secolo ho conosciuto non pochi colleghi che si sentivano particolarmente “imparati” pur non avendo, per esempio, adeguata cognizione della legge professionale o, per esempio, delle “Carte” che via via il Consiglio nazionale ha approvato.
Che la formazione (che io preferisco chiamare aggiornamento, anche se questo termine nel dispositivo di legge non esiste) sia una indispensabile necessità in questi primi mesi di attività, lo hanno dimostrato i corsi organizzati dai vari Ordini regionali. Dappertutto la partecipazione alle varie iniziative è stata superiore alle aspettative, i dibattiti che questi appuntamenti hanno generato sono stati per lo più proficui e capaci di stimolare riflessioni e conoscenza. Chi meglio conosce le dinamiche che si innescano allorquando si genera un incontro tra persone diverse che neanche si sono mai viste, sostiene che la sola partecipazione ad un corso con lo scambio di opinioni, riflessioni, esperienze, è già di per sé una “fase formativa”. Personalmente anche sulla base di quanto praticato nei corsi di aggiornamento per insegnanti sottoscrivo pienamente questo dato.
Una riflessione, infine, sulle modalità di acquisizione dei crediti ritengo sia importante, soprattutto in prospettiva. Il regolamento in vigore è stato sviluppato partendo da una idea condivisibile: trattandosi di una innovazione era ed è opportuno tenere la barra organizzativa abbastanza rigida per non dare spago ai soliti furbi e non abbondare nella elargizione dei crediti. Poi, è stato detto, in corso d’opera si provvederà a meglio definire il quadro. Un sistema che condivido, ma auspico, fin da ora che vengano ipotizzati altri modi di assegnare crediti al fine di favorire chi la logica dell’aggiornamento l’ha inserita come fiancheggiatrice della propria attività professionale ben cosciente che il mondo, tutto, in tutti i settori, è in continuo movimento.
In aggiornamento, appunto.
Luciano Gambucci
(Consigliere nazionale ODG)