Si è detto tanto, e tanto si è scritto, sul centenario dei caduti della Prima Guerra mondiale. Pagine chiare ma anche pagine scure perché una guerra, anche quando si conclude con una vittoria, non ha mai una faccia sola.
Tutto si mescola: l’orgoglio di una giovane nazione che nella tragedia trova forse per la prima volta un suo spirito unitario, con quello che di peggio una guerra comporta: il caos, i massacri, le sofferenze dei civili e dei soldati. E la cattiva retorica di chi manda gli altri allo sbaraglio in un mostruoso bagno di sangue.
Nel bene e nel male tutti hanno dato un contributo. Anche i giornalisti, molto numerosi e generosi, come spesso abbiamo ricordato con diverse iniziative. C’è anche un altro gruppo, molto particolare, sul quale lo scrittore Gianni Biondillo, assai noto soprattutto per i suoi “noir”, sposta i riflettori: quello di una generazione d’artisti cresciuta all’inizio del Novecento a Milano nelle aule dell’ Accademia di Brera. Un gruppo di artisti molto ribelli e poco allineati che trovano nel futurismo di Filippo Tommaso Marinetti una eclatante sponda in cui incanalare la loro ansia di cambiamento.
Erano giovani, scapestrati, pronti a farsi beffe dei parrucconi della cultura e dell’arte. Diventati poi quasi tutti famosi come Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Carlo Erba, Mario Sironi, Luigi Russolo.
Pittori, architetti, musicisti, artisti, insomma, che volevano lasciare il segno, anche a costo di andar sopra le righe, di mescolare il bello col brutto, la creatività con la provocazione .
Gianni Biondillo, in questa nuova opera (Come sugli alberi le foglie” Guanta editore, euro 18,50 ) che prende spunto da una celebre poesia di Ungaretti, racconta come questa meglio gioventù artistica sia stata presa in giro dalla Guerra, e come la guerra li abbia sedotti facendogli credere, grazie anche alle sirene dannunziane e futuriste, quanto ci fosse di innovativo e trasgressivo in un conflitto armato, “Sola igiene del mondo” per liberarsi degli impacci di un passato ormai ammuffito.
Belle parole e arditi propositi che poi si scontrano con una realtà molto meno poetica: quella delle trincee del Carso dove prima marciscono e poi muoiono centinaia di migliaia di giovani.
Senza cedere a un usurato disfattismo, Biondillo fa parlare i “fatti”, alternando il prima e il dopo in un amaro susseguirsi di contrasti.
La guerra travolge tutto. Le speranze e i progetti di questi ragazzi, scivolano nel tritacarne di un conflitto bestiale che copre col sangue quel fantastico futuro che avevano prefigurato prima di partire.
Protagonista assoluto di questa Odissea senza ritorno è il giovane comasco Antonio Sant’Elia, architetto di straordinario talento morto il 10 ottobre 2016 in un attacco sull’Altopiano di Asiago.
Più riluttante degli altri, perché innamorato della vita e del suo lavoro, alla fine Antonio entra quasi senza rendersene conto in un inferno dove tutti sono colpevoli e tutti innocenti.
Un inferno che gli impedirà di dare sviluppo ai suoi progetti di una Città Nuova, come si presentava Milano all’inizio del Novecento. E in quella vita spezzata, in quei disegni ritornati carta straccia, c’è tutto il sogno di un secolo che, cercando di andare sempre più veloce, e sempre più lontano, ha pagato un conto salatissimo che, forse, ancora adesso, non abbiamo finito di saldare.