L’Ascai, Associazione per lo sviluppo della comunicazione aziendale in Italia, ha presentato di recente il volume “Dalla carta al web”, sulle origini, l’evoluzione e le tendenze degli house organ nel nostro Paese. Sui contenuti dello studio, ne parliamo con Maurizio Incletolli, Presidente dell’Associazione.
All’interno di un’organizzazione, quanto è importante uno strumento di comunicazione?
Penso sia giusto considerare anzitutto che oggi qualsiasi impresa, piccola o grande, pubblica o privata, non possa più permettersi di sottovalutare l’importanza che rivestono al suo interno gli strumenti di comunicazione. Perché con la complicità di una continua innovazione tecnologica, newsletter, blog, social media che viaggiano in rete varcano quotidianamente la soglia delle aziende e, loro malgrado, influenzano le opinioni e i comportamenti di quanti vi lavorano. Impossibile quindi non avere a disposizione almeno un canale di comunicazione interna, distinto dal contatto diretto che si realizza attraverso riunioni e convention.
L’Ascai, Associazione per lo sviluppo della comunicazione aziendale in Italia, ha presentato di recente il volume “Dalla carta al web”, sulle origini, l’evoluzione e le tendenze degli house organ nel nostro Paese. Sui contenuti dello studio, ne parliamo con Maurizio Incletolli, Presidente dell’Associazione.
All’interno di un’organizzazione, quanto è importante uno strumento di comunicazione?
Penso sia giusto considerare anzitutto che oggi qualsiasi impresa, piccola o grande, pubblica o privata, non possa più permettersi di sottovalutare l’importanza che rivestono al suo interno gli strumenti di comunicazione. Perché con la complicità di una continua innovazione tecnologica, newsletter, blog, social media che viaggiano in rete varcano quotidianamente la soglia delle aziende e, loro malgrado, influenzano le opinioni e i comportamenti di quanti vi lavorano. Impossibile quindi non avere a disposizione almeno un canale di comunicazione interna, distinto dal contatto diretto che si realizza attraverso riunioni e convention.
La vera priorità sta piuttosto nell’analisi preventiva dei bisogni di comunicazione dell’organizzazione e nella conseguente scelta dello strumento più idoneo, prima di restare preda del fascino suscitato dai nuovi media. Perché un ritorno in termini di efficacia da un mezzo di comunicazione può essere assicurato solo dopo una attenta valutazione di alcune variabili riferibili al modello organizzativo esistente, alla delocalizzazione dei processi produttivi, al sistema consolidato di relazioni interne, senza sottovalutare l’entità del gap generazionale della forza lavoro.
È una storia ultracentenaria quella degli house organ italiani?
L’house organ, termine che identificò all’inizio il giornale che parla dell’azienda e dei suoi prodotti o servizi, puntando espressamente su una fidelizzazione della clientela, ha origini indubbiamente lontane nel tempo. Si fa risalire al 1895 la comparsa nel nostro Paese della prima vera pubblicazione di marca imprenditoriale. Veniva infatti alla luce quell’anno “La Riviera ligure di Ponente” rivista quadrimestrale di piccolo formato (20 x 30 cm)
pubblicata dalla ditta olearia P. Sasso e figli di Oneglia. Un’esperienza sicuramente mutuata oltreoceano dalla stampa aziendale statunitense, il cui battesimo si deve a John Deere, grande imprenditore agricolo e al suo periodico “The Furrow”, del 1897.
Quello ligure non fu che uno dei tanti esempi di ‘customer magazine’, in seguito imitato e perfezionato nel lungo cammino della stampa aziendale. Un cammino esaltante negli ultimi cento anni raccontati nel libro realizzato da Ascai, ma anche irto di difficoltà, a cavallo di due conflitti mondiali, di crisi e di riprese, di innovazioni e shock tecnologici che hanno progressivamente rivoluzionato il modo di fare giornalismo d’impresa. Un fenomeno sviluppatosi di pari passo con le vicende economiche e sociali del Paese, spesso trascurato dalle cronache, ma ricco di significati che testimoniano il percorso e la crescita culturale di una pubblicistica sui generis, rivolta a una readership speciale rappresentata soprattutto dai dipendenti delle grandi aziende.
Il tutto attraverso testimonianze di persone e fatti raccolte in un significativo arco temporale, che va dal boom della produzione editoriale nei ricchi anni Cinquanta, alle tensioni occupazionali e ai conflitti sindacali a cavallo del ventennio seguente, dal successivo rilancio del dialogo con i lettori all’esplosione del culto dell’immagine degli anni Ottanta. Fino alla più recente rivoluzione tecnologica dei mezzi di informazione, che ha progressivamente trasformato tempi e modalità del fare informazione, anche all’interno degli ambienti di lavoro, ridimensionando nei contenuti e nei format il tradizionale ‘foglio aziendale’ a stampa e decretando la sua inevitabile e irreversibile migrazione verso il digitale.
Cosa è emerso dalla ricerca, curata dall’Università Cattolica, riportata nella seconda parte del libro?
I risultati dell’indagine commissionata da Ascai all’Università Cattolica evidenziano con chiarezza uno scenario nel quale la produzione di periodici aziendali sta seguendo un percorso evolutivo analogo al cammino intrapreso ormai da tempo dalle imprese che nell’editoria quotidiana e periodica hanno il loro core business. Infatti, sebbene le edizioni cartacee delle testate aziendali appaiano ancora protagoniste, beneficiando del fascino di cui da sempre gode la carta che consente una relazione più intima e sensoriale con il lettore, molte imprese hanno già proceduto con l’introduzione della replica digitale non riformattata in formato pdf e altre imprese hanno proseguito con la trasposizione online dei contenuti dei medesimi periodici cartacei.
A fronte di ciò, poche aziende hanno affrontato la transizione verso un periodico online con caratteristiche proprie: contenuti aggiuntivi rispetto alla versione cartacea, continuamente aggiornati, redatti con un linguaggio adeguato alla necessaria integrazione di testi, suoni, immagini, animazioni e video - che consentono diverse modalità di fruizione - e ipertestuali, in modo tale da offrire un’informazione di tipo non lineare sulla base di percorsi personali di consultazione interattiva capaci di soddisfare esigenze informative specifiche.
Come sono cambiati i media interni, con le nuove tecnologie?
Oltre la metà del nostro campione di aziende italiane (53,3%) pubblica almeno un periodico. Tra queste il 20% ha un’edizione solo cartacea, il 55% integra alla carta anche l’online e il 25% opera esclusivamente online.
Le pubblicazioni cosiddette ‘native digitali’, ovvero quelle che non raccolgono l’eredità di una versione tipografica, dimostrano di aver colto solo parzialmente le reali potenzialità offerte dalle tecnologie, riguardo alla capacità di interazione con il lettore e alle opportunità di coinvolgerlo nella produzione dei contenuti e nella condivisione delle notizie: i nuovi periodici nativi digitali non sembrano infatti attualmente superare per “capacità di attivazione” del lettore i periodici “migrati digitali”, cioè quelli che hanno affiancato o sostituito le tradizionali testate cartacee.
Il “gap di attivazione” maggiore pare esistere proprio tra i nuovi periodici in edizione nativa digitale e le edizioni online dei tradizionali periodici cartacei. A questi va infatti il merito della produzione di contenuti aggiuntivi, rispetto alla pubblicazione su carta, oltre ad ampie possibilità di interazione, di partecipazione e di condivisione da parte dei fruitori. Con modalità più intense e incisive, offrono opportunità di esplorazione attiva e di approfondimento multimediale, secondo un “palinsesto” personale tutto da costruire di volta in volta.
Dunque, periodici al bivio: tradizionali, online e social …
Diciamo pure che è in sicura crescita la migrazione in Rete di giornali e riviste, soprattutto quelli pubblicati dalle grandi imprese, sia riservati ai dipendenti sia con diffusione estesa alla clientela o, comunque, a una readership esterna. E questo nonostante limiti di competenze tecniche e, talvolta, resistenze di carattere culturale.
Per altro verso, se è vero che la carta tiene, in parte, rispetto all’avanzata del digitale, come in una sorta di linea Maginot, è altrettanto dimostrato dalla ricerca Ascai che format e contenuti in versione web restano un terreno ancora tutto da esplorare, specie sul fronte delle versioni “social”, la cui gestibilità è ben più critica se il periodico è indirizzato all’interno dell’azienda.
Di vero c’è che il nuovo fenomeno mediatico sta progressivamente modificando lo stesso sistema di relazioni tra aziende e dipendenti e che questo può avere un pregio innegabile sul piano della costruzione e della condivisione delle informazioni.
A mio giudizio, è comunque auspicabile che le testate aziendali, nella loro imprescindibile evoluzione online, mantengano la natura di ‘prodotto editoriale’ e siano gestite con le necessarie professionalità, unendo le competenze del giornalista a quelle del comunicatore d’impresa. Solo così gli obiettivi aziendali, le opportunità di interazione, di condivisione e di partecipazione attiva dei destinatari potranno puntare a una produzione qualificata, che valga a valorizzare il ruolo insostituibile delle pubblicazioni aziendali.