Una foto una storia due foto sono un film
(Federico Fellini)
Londra, 7 luglio 2005. Un gruppo di attentatori suicidi colpiscono la metropolitana e un bus durante l'ora di punta. Tre treni sono colpiti contemporaneamente e poco dopo in città esplode un autobus: 52 morti e 700 feriti.
Quando arrivano i fotoreporter e gli operatori video mandati dai giornali e dalle tv, foto e filmati giravano già in tutto il mondo scattate da centinaia di pendolari con i cellulari.
Noi professionisti lo sapevamo già prima di Londra che il fotogiornalismo di cronaca, con l’arrivo del digitale non era più in mano ai professionisti ma ai “fotografi per caso” quelli che si trovano lì quando accade l’incidente.
Anche la fotografia ormai si era globalizzata creando grandi problemi per noi professionisti perché tutti questi “nuovi collaboratori” per riviste, giornali e tv, regalano i loro servizi solo per vedere il proprio nome e la foto pubblicata. Ovviamente incoraggiati dagli editori.
Per impedire di essere cancellati, abbiamo organizzato incontri, convegni, scioperi. Non è servito a nulla. Molti di noi hanno dovuto abbandonare le redazioni perché le foto vengono richieste solo alle agenzie, anche loro strozzate da prezzi sempre più al ribasso.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un calo impensabile della qualità delle foto. Cerca ora sui giornali la “foto che vale 1000 parole”. Non c’è più.
Siamo diventati una categoria con una alta presenza di precariato e disoccupazione proprio come è successo prima di noi con l’arrivo dei trattori in campagna, l’arrivo delle ruotine sotto le valigie che ha mandato a casa migliaia di facchini.
Cosa può fare allora un professionista a cui è stata tolta la sua primaria importanza?.
Rinunciare al fotogiornalismo cercando un altro lavoro se ci riesce o reagire e tornare al reportage autentico dove non ci si accontenta più solo di scattare foto ma raccogliere anche testimonianze e video.
Impadronirsi delle conoscenze e di tutte le tecnologie che creano notizia e immagini e imparare a spedirle in tutto il mondo in italiano, inglese e spagnolo e, soprattutto, diventare agenzia di se stesso senza più filtri e freni.
Torniamo ai fotoreporter
Che ci siano ancora molti fotoreporter che nel mondo lavorano bene, lo scopriamo ogni volta che vediamo foto e video premiati da concorsi internazionali come il Premio Pulitzer o il World Press Photo che quest’anno ha dato il prestigioso premio al fotografo turco Burhan Ozbilici, dell'Associated Press, che il 19 dicembre scorso ha ripreso ad Ankara l’assassinio del diplomatico russo Andrey Karlov.
Un premio molto contestato dai media e anche dai fotografi, abituati a vedere i premi assegnati a situazioni tragiche, estreme o crude come, per rimanere in Turchia, la foto del piccolo Aylan, bambino curdo di tre anni, ripreso senza vita sulla spiaggia di Bodrum da Nilufer Demir, giovane fotoreporter turca della Reuters.
Ho sostenuto sempre che il premio alla foto del killer immortalato da Burhan Ozbilici, sia più che giusto e meritato ancora prima di aver letto la sua intervista rilasciata al "The Guardian”.
“Ho messo qualche secondo - racconta Ozbilici - per capire cosa stava succedendo. Una vita scompare di fronte ai miei occhi”.
Ozbilici era lì per caso, stava passando davanti alla galleria d’arte a pochi passi da casa sua dove veniva inaugurata una mostra sui paesaggi russi e decide di entrare.
Poco dopo l'inizio del discorso dell'ambasciatore, un militare in borghese che era alle sue spalle si avvicina e spara uccidendolo e creando panico tra il pubblico presente mentre il corpo dell'uomo s'accascia al suolo.
Ozbilici non capisce il motivo dell'attentato anche se ne ha visti tanti in giro per il mondo. Scoprirà più tardi che probabilmente il movente era di vendicare i morti dei bombardamenti russi di Aleppo e il nome dell'attentatore, Mevlut Mert Altintas di 22 anni.
"Ho solo sentito urlare Allahu akbar - dice ancora - ma non ho capito il resto di ciò che ha detto in arabo".
Anche se intimorito dalla possibilità che il killer potesse vederlo e sparare anche a lui pensa: "Gli sono di fronte, anche se dovessi essere ferito o ammazzato non mi muovo, sono un giornalista”.
L'attentatore grida “tutti di a terra”, conosce già il suo destino. Poco dopo la polizia metterà fine all'attentato abbattendo l'uomo che ormai aveva compiuto il suo gesto.
Ozbilici nella confusione probabilmente non si accorge che il dito del killer non è più sul grilletto ma dritto fuori sul fianco della pistola e che forse non aveva più intenzione di sparare.
Mario Rebeschini
Giornalista e Fotoreporter Airf
Associazione Italiana Reporter Fotografi
Didascalia
Fotografia di Burhan Ozbilici, fotoreporte turco dell'Associated Press premiato dalla World Press Photo (Wpp). Foto ripresa da internet