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La magica, unica e straordinaria poesia del calcio

05/12/2016
Ma qual è la magia del calcio? Cosa spinge milioni di persone, spesso completamente diverse tra loro, a condividere  una passione quasi primitiva per la sua (apparente) semplicità? 
Per il calcio, come scrive Walter Veltroni nel suo bel libro (La vita in novanta minuti, la poesia del calcio raccontata dai grandi campioni, best Bur, pp. 334, 13 euro), “per il calcio si piange, ci si abbraccia, si litiga, si arriva perfino a farsi male, con parole e, talvolta, per gli stupidi che dimenticano la sua dimensione  sanamente infantile, anche con la violenza…”.
Sì, è proprio così. Un fenomeno che non ha eguali. Può esultare e sbracciarsi un presidente della Repubblica come Sandro Pertini, come può farlo un metalmeccanico, una casalinga, un adolescente pieno di brufoli con la cresta da indiano metropolitano.
Tutti uguali, davanti a questo mistero che ha la sua essenza in una palla che deve essere buttata in rete da due squadre di undici giocatori in campo più quelli che seduti in panchina li sostituiranno. 
Cambiano le regole, arrivano le nuove tecnologie per favorire (o non favorire) le scelte degli arbitri, ma la scintilla primordiale di questo gioco, non cambia: il calcio, per chi lo ama, è una cosa importante. Che cambia l’umore, unisce o divide, che diventa una chiave d’accesso per ridurre le distanze. 

 

Ma qual è la magia del calcio? Cosa spinge milioni di persone, spesso completamente diverse tra loro, a condividere  una passione quasi primitiva per la sua (apparente) semplicità? 
Per il calcio, come scrive Walter Veltroni nel suo bel libro (La vita in novanta minuti, la poesia del calcio raccontata dai grandi campioni, best Bur, pp. 334, 13 euro), “per il calcio si piange, ci si abbraccia, si litiga, si arriva perfino a farsi male, con parole e, talvolta, per gli stupidi che dimenticano la sua dimensione  sanamente infantile, anche con la violenza…”.
Sì, è proprio così. Un fenomeno che non ha eguali. Può esultare e sbracciarsi un presidente della Repubblica come Sandro Pertini, come può farlo un metalmeccanico, una casalinga, un adolescente pieno di brufoli con la cresta da indiano metropolitano.
Tutti uguali, davanti a questo mistero che ha la sua essenza in una palla che deve essere buttata in rete da due squadre di undici giocatori in campo più quelli che seduti in panchina li sostituiranno. 
Cambiano le regole, arrivano le nuove tecnologie per favorire (o non favorire) le scelte degli arbitri, ma la scintilla primordiale di questo gioco, non cambia: il calcio, per chi lo ama, è una cosa importante. Che cambia l’umore, unisce o divide, che diventa una chiave d’accesso per ridurre le distanze. 
Metti due persone che non sanno di cosa parlare in ascensore: per rompere il ghiaccio, avranno due opzioni: il calcio o il maltempo. Se poi piove, questo è un classico anche ai tempi del Web,  arriveranno al sempre universale “Governo ladro”. 
Ma come nasce questa passione per il calcio? Quali sono i percorsi, le sliding doors,  per  diventare un Platini o un Buffon, un Rivera o un Del Piero, un Baggio o un Paolo Rossi?
Per cercare di dare delle risposte, che naturalmente non spiegano tutto ma fanno capire quanto sia affascinate questo mistero, Veltroni ha raccolto nel libro una serie di interviste, scritte per il Corriere dello Sport, ad alcuni dei campioni più conosciuti dell’ultimi 50 anni: da Zoff a Tardelli, da Bergomi a Falcao, da Vialli ad Ancelotti, non disdegnando neanche allenatori quali Lippi, Ranieri, Sarri, Prandelli e tanti altri. 
Tutti, ma proprio tutti, hanno in comune una cosa che non si acquista da nessuna parte: la passione. 
Una passione smodata che, soprattutto da bambino, ti porta a fare  cose che non dovresti fare. A stare sempre nel cortile o in mezzo alla strada; a rompere le scarpe nuove e sbucciarti mani e ginocchia; a trascurare i compiti e sporcarti da buttar via. 
Racconta Dino Zoff, il portiere dei portieri: “Mi scambiavano per lo scemo del villaggio. Da quando avevo cinque anni cominciai a giocare in porta. I grandi mi facevano giocare con loro, sapevano che ero bravino. Ma ero molti timido e subivo un po’ di bullismo. Per esempio mi tiravano sempre dal lato in cui c’era più fango. Perché c’era tanto fango dove giocavamo noi…”.
Anche Giuseppe Bergomi, interista a vita che a 18 anni  ha vinto il campionato mondiale nel 1982 con Enzo Bearzot, racconta: “All’oratorio il parroco non sempre apriva. Allora noi scavalcavamo e delimitavamo le porte con le reti dell’imballaggio. Io nasco milanista, , ma per tutta la vita ho portato la maglia nerazzurra: le combinazioni della vita”.
Passano gli anni, cambia il modo di vivere, i bambini non stanno più in strada e vengono mandati  dai genitori alle scuole di calcio. Il mondo cambia, forse in meglio, forse in peggio, ma la magia è sempre la stessa, anche se forse quelli nati poveri sanno soffrire di più, reggono meglio agli urti di una gavetta non facile. 
Racconta Gianluca Vialli, cresciuto nella Cremonese. “Mio padre non ci faceva mancare nulla con il suo lavoro. Io non giocavo al calcio per cercare rivincite o per poter marcare in futuro il lunario. No, giocavo per il puro gusto di farlo.”
E’ un mondo particolare, quello del calcio: di grandi maestri,  quasi dei padri che univano cuore e competenza, come lo svedese Niels Liedholm e  il serbo Vujadin Boskov, il tecnico della Sampdoria celebre anche per i suoi aforismi (tipo il mitologico: “Rigore è quando arbitro fischia”)
Ma è anche un mondo  di “fenomeni”. Quelli veri, come Maradona, Van Basten, Zico eccetera, e quelli che avrebbero potuto diventare dei grandissimi giocatori e invece sono rimasti dei “fenomeni” nella accezione meno favorevole. 
Uno tra tutti, Evaristo Beccalossi, croce e delizia dei tifosi interisti. Un sinistro da far impazzire, ma una testa impossibile da inquadrare in un collettivo. 
Racconta Beccalossi: “Se passavo la palla?No, per carità! Se ce l’hai perché dovresti darla via?E’ tutto lì il divertimento. Non mi passava neanche per la testa. Per questo tra i 12 e  15 anni sono stato  la riserva di tutti. Però nessuno mi cacciava perché poi entravo in campo e risolvevo la partita…”
C’è chi ce l’ha fatta, ed è diventato un grande. E  c’è chi invece è rimasto più nell’ombra. ll calcio piace anche perché assomiglia alla vita. Per un centimetro la palla può entrare in porta o uscire. Puoi essere il migliore, il peggiore, o uno dei tanti. E mai saprai se, nella partita della tua vita,sei stato bravo tu o hanno sbagliato gli altri.