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La Scuola dei Grandi Maestri. Giornalismo sul campo: ecco il manuale di Gallizzi e Sardelli

02/07/2014
C'era una volta la grande generazione del giornalismo: quella che univa il fiuto da segugio del cronista alla cultura dell'intellettuale e inquadrava il dettaglio nell'orizzonte della realtà.
Da questa considerazione parte la descrizione del libro «La Scuola dei Grandi Maestri. Un manuale di giornalismo sul campo», ideato e scritto a quattro mani dai giornalisti Giuseppe Gallizzi e Vincenzo Sardelli, opera presentata anche lo scorso 4 giugno al Circolo della Stampa a Milano alla presenza dell’editorialista e saggista Vittorio Feltri, di Enzo Iacopino e Paolo Pirovano, rispettivamente attuali Presidente e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, del Presidente ODG della Lombardia Gabriele Dossena, della Presidentessa del Circolo della Stampa di Milano Daniela Stigliano, del Direttore de Il Giorno Giancarlo Mazzuca e del Presidente di Alg Giovanni Negri.
Durante il dibattito Vittorio Feltri ha raccontato la nascita, la crescita e la formazione all’interno di una grande redazione. Ha poi aggiunto: “Non esageriamo a mitizzare il passato, una volta c’era l’estensore delle notizie e non è vero che un tempo la qualità della notizia era migliore. Sicuramente si lavorava in maniera diversa, con piu’ precisione e c’era un maggior controllo della notizia, cosa che oggi è piu’ difficile riscontrare, in quanto i tempi richiedono un’estrema velocità. I nuovi mezzi di comunicazione ti impongono infatti un aggiornamento continuo, che non è possibile trascurare”. E continua: “Un giornale oggi se non si aggiorna e non utilizza un lessico comprensibile a tutte le fasce di lettori, rischia di vendere pochissime copie. Dopo aver letto infatti il lettore ha l’impressione di avere tra le mani un giornale ormai datato, perché le notizie vengono apprese prima con altri mezzi, dal tiggì agli on line, sino ad arrivare ai social network”. Grande apprezzamento anche per l’intervento di Enzo Iacopino: “Non nascondo le mie peplessità sulla qualità dell’informazione italiana. Purtroppo numerosi errori vengono commessi da quotidiani, settimanali e giornali in genere, poiché poco rispettosi della privacy dei cittadini. Occorre rispettare in via prioritaria privacy e soprattutto richiamare all’osservazione delle regole deontologiche”. E a proposito della facilita' ad assecondare letture schematiche, fa autocritica su come negli anni Ottanta segui' con pregiudizio colpevolista la vicenda Tortora: "Ogni volta che ci penso, mi vengono i brividi. Una lezione che ripeto a me stesso e soprattutto ai giovani colleghi". IL LIBRO - La nostra epoca ha subìto profondi cambiamenti che riguardano soprattutto la stampa, il mondo del giornalismo e della comunicazione, anche grazie (o per colpa di, secondo altri!) all’utilizzo dei social network. Canali non trascurabili al giorno d’oggi, soprattutto per chi si occupa di informazione. Il giornalismo è dunque cambiato, ma il modo di andare alla ricerca della notizia, approfondirla e contestualizzarla resta sempre lo stesso. Così come resta sempre valida la regola delle 5W (who, what, when, where, why). E da qui l’idea di realizzare una guida pratica per tutti coloro che desiderano esplorare la logica delle notizie. A partire dagli stessi autori. L’uno, Gallizzi, grazie ai suoi 35 anni di esperienza al Corriere della Sera, l’altro, Sardelli, professore di italiano e storia, pubblicista e critico teatrale, hanno dato vita a questo volume di 201 pagine ed edito dal Centro Documentazione Giornalistica di Roma. In breve: un moderno, ricco e pratico manuale di giornalismo. Ma non solo. Anche consigli su come svolgere la professione di giornalista, sulla vita di redazione, sul rapporto tra stampa e potere, oltre alle considerazioni sulla libertà di informare, sul problema delle fonti, su come preparare un buon ‘attacco’ e sul punto di vista del lettore. Sì, proprio lui, il lettore, nonché destinatario finale dell’informazione. Partendo proprio dagli insegnamenti di Calvino, Ottone, Montanelli, Barzini, Biagi, Mieli, Ostellino, Afeltra - e gli stessi messi in pratica proprio nella redazione del giornale milanese fondato nel 1876 - ci spiega Giuseppe Gallizzi: «Intelligenza e istinto facevano da guida per capire che cosa poteva interessare il lettore. Adesso il giornalismo è cambiato. Ma il modo di dare la notizia è lo stesso di sempre: le cinque W, e prima ancora i cinque sensi. Recarsi di persona sul fatto». Prosegue l’ex capo redattore centrale del quotidiano: “Saper scrivere è ben piu’ che un talento o una dote. Per lavorare in un giornale sono basilari sì, l’abilità nel raccontare storie e la passione per la comunicazione, ma soprattutto il costante aggiornamento personale e un continuo esercizio”. “Scrivere un pezzo non è solamente mettere insieme due o tre pagine filate, corrette linguisticamente e sintatticamente – sostengono gli autori. E’ qualcosa di piu’ difficile: trovare un buon attacco, saper dare il ‘taglio giusto’, evitare una ripetizione, un aggettivo non appropriato, tutti scogli da superare”. Aggiunge Vincenzo Sardelli: «Ascoltare, prima di parlare. Dalla teoria alla pratica, partendo dalle basi: questo libro prova a offrire elementi di riflessione su una professione che non rinuncia a gambe, cuore e cervello». Per il battesimo nella carta stampata occorrono quindi fatica, umiltà, voglia di imparare, capacità di mettersi in discussione e disponibilità ad ammettere i propri errori. Chiediamo allora direttamente agli autori di aiutarci a esplorare questo affascinante mondo, come occorre presentare le notizie al lettore e come eliminare quei tecnicismi che potrebbero rendere difficoltosa la comprensione del proprio articolo. Voi affermate che “giornalisti non si nasce, ma si diventa”. E’ vero che occorre un’adeguata formazione per accedere al mondo del giornalismo (anche alla luce della recente riforma disciplinata sulla base di convenzioni tra l’Università e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti), ma è sicuro che questo mestiere non derivi prima di tutto da una profonda vocazione? GALLIZZI: Thomas Edison diceva che il successo è per il 5 percento ispirazione, e per il 95 percento traspirazione. La vocazione, il talento, è importante. Ma quello che fa la differenza nella vita è il lavoro. Il sudore. L’umiltà. Gambe, cuore e cervello. Questo vale per il grande letterato o pittore, figuriamoci se non vale per il giornalista, che è anzitutto un artigiano. Senza velleità artistiche. “Ci sono giornalisti con la G maiuscola. Sono quelli che vanno a cercare le notizie dove si trovano […]”. E ancora “libero giornalista è colui che riesce a distinguere il fatto dall’opinione e si attiene alle regole deontologiche”. Ma quanto è difficile sapere scindere la notizia in sé dal proprio commento e punto di vista? G.: Difficilissimo. L’umiltà del giornalista deve consistere soprattutto nella consapevolezza che il discrimine tra fatto e opinione è sottilissimo. Quando questo confine viene superato, il giornalista dovrebbe avere almeno il buon senso di dichiarare il proprio punto di vista. Non credo tanto nell’obiettività, quanto nella buona fede. Si può tendere all’obiettività dei fatti quando si mettono a confronto punti di vista eterogenei, e quando, nello scrivere, si limitano al massimo aggettivi e avverbi. “Il primo dovere di un giornalista è di non essere noioso, ma rapido, brioso, essenziale”. Per definire le regole di uno stile narrativo fluido, lei si appella a Italo Calvino, citando 5 elementi fondamentali da considerare: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità. Come si applicano queste regole al giornalismo? SARDELLI: In realtà queste regole andrebbero applicate a ogni aspetto della vita ordinaria. La rapidità è rifiuto dei giri di parole, secondo il principio della filosofia greca che prescrive: “nulla di troppo”. La rapidità rispetta l’intelligenza del lettore e il suo tempo. L’esattezza è un dovere morale per chi pratica questo mestiere. La visibilità aiuta a tradurre in immagini quello che, diversamente, risulterebbe troppo astratto. La molteplicità ci porta a riflettere che la realtà non è mai schematica, fissa, ma che ci sono più verità, più maschere. Il giornalismo dei suoi esordi al Corriere della Sera e il giornalismo digitale e social di oggi. Quali i temi in comune e quali le divergenze? Dal punto di vista del giornalista, come si è evoluto l’approccio alle fonti? G.: Una volta c’era un filtro alle fonti che era dato dal mestiere e dalla gavetta. E anche da un sistema multiplo di controlli incrociati che consentiva al pezzo di essere sottoposto alla valutazione di varie figure: il reporter, l’estensore, il caposervizio, il redattore, il redattore capo, il direttore. Senza considerare i correttori di bozze, che erano figure molto colte e preparate, in grado di segnalare qualunque problema. Adesso il blogger o il giornalista online rischia di essere il solo artefice e responsabile della notizia. Per questo il lettore medio può sbattere contro la bufala con enorme facilità. Lei ha lavorato al fianco di grandi maestri del giornalismo. Dice di lei Vittorio Feltri : «[…] Il giovane Gallizzi, costruì la fortuna con le proprie mani e la propria testa e, direi, perfino con i piedi. Grazie all’impegno, al temperamento e al fiuto, egli non solo superò la prova, addirittura venne convocato in via Solferino e gli fu assegnato l’incarico di redattore ordinario in cronaca». Cosa vuole rispondere? G.: Feltri è un genio di questa professione. Lo si può amare smisuratamente o detestare. Ma batte strade diverse dalla massa, e il suo punto di vista è sempre stimolante. Che cosa posso rispondere? Che un genio non lo puoi contestare. Specie quando è così gentile da parlar bene di te. Può un manuale insegnare a fare il giornalista? Si, no o forse? In quali termini? Quali consigli suggerisce? S.:Scrivere non è come fare una torta. Occorrono la pratica e l’umiltà di chi vuole imparare. Occorrono regole, ma anche grandi maestri. Chi ama scrivere può trovare nel nostro volume suggerimenti preziosi. Il nostro scopo non è di fornire un vademecum, ma di avviare una riflessione. Chiunque lo legga, può portare a casa qualche elemento per ragionare. Il consiglio è di fare di questa lettura un’occasione per nuove domande, cercando risposte in altre letture. E poi non bisogna mai eludere il confronto: con altri del mestiere, con la gente comune. Ognuno ha qualcosa da insegnarci. La seconda parte del libro è più tecnica e affronta alcuni modelli di scrittura giornalistica. Come funziona un buon attacco? Come lo si costruisce? G.: Rispondendo alle cinque W. Capendo quale, tra esse, merita la maggior attenzione. Sapendo che cosa può interessare il lettore. Ma soprattutto, recandosi sul posto e cogliendo quel particolare che il cronista avveduto carpisce immediatamente, con un minimo d’intuizione. Ad esempio, mettiamo che io debba dare la notizia di un operai morto cadendo da un’impalcatura. Se ho davanti un’agenzia devo limitarmi alla 5 W. Se mi reco sul posto posso apprendere che quell’uomo è precipitato da un’altezza vertiginosa e che tra una settimana si sarebbe sposato. Scrivere un pezzo giornalistico non è poi così semplice. Occorre considerare diversi aspetti: struttura, forma e tecniche di scrittura efficaci. Ce ne parla? S.: Il giornalista, diversamente, dal romanziere, deve arrivare subito al nocciolo senza tergiversare. Deve aver ben chiara la notizia, attraverso le 5 W, da piazzare entro il primo capoverso. Poi va ad approfondire, aggiungendo dettagli più minuziosi. Questo per un pezzo di cronaca. Per un pezzo di commento non deve saltare di palo in frasca: mai più di un’idea per articolo, come raccomandava Montanelli. Quanto alla forma, frasi brevi: soggetto, verbo e complemento. Non temere di ripetere il soggetto. Il primo obiettivo è sempre la chiarezza: l’articolo deve arrivare a tutti. Come fare? Ancora Montanelli si raccomandava di rivolgersi, prima di scrivere, a un ipotetico lettore medio. Non perdersi in estenuanti ricerche di sinonimi. Preferire la coordinazione alla subordinazione. Eliminare gli aggettivi. Limitare gli avverbi. E poi, leggerezza, rapidità, esattezza. Brio. Il lettore non deve annoiarsi mai. E infine il titolo: deve richiamare l’attenzione senza essere uno specchietto per le allodole. Sul web il titolo deve contenere poche parole chiave, quelle dei tag. Nel giornalismo online andrebbero evitati occhiello e sommario. C’è stato un giorno preciso nella sua vita in cui ha deciso di tentare la carriera di giornalista. Ci racconta le emozioni che ha provato quando è partito dalla sua Calabria alla volta di Milano? Quindi, è possibile che i sogni si trasformino in realtà? G.: Avevo solo un’idea vaga del futuro che mi attendeva. Raggiunsi Milano in treno. Vedevo attorno a me tante facce. Sui visi degli emigranti leggevo sensazioni diverse, speranza, sogno, determinazione, fantasia. Ma anche nostalgia, rimpianto; e quel po’ di autocommiserazione e maledizione, verso la sorte che ti costringe a lasciare la tua terra per realizzarti. Ecco, io decisi. Decisi di guardare avanti. Perché quando non si può tornare indietro, bisogna solo preoccuparsi del modo migliore per avanzare. E non si arretra, mai. Nemmeno per prendere la rincorsa. È così che i sogni si trasformano in realtà. Diventare giornalista prevede un percorso formativo mirato. Che rapporto esiste fra il termine formazione e istruzione? Analogie e differenze. S.: L’istruzione (costruzione) rimanda a una fase propedeutica d’insegnamento/apprendimento degli elementi alla base della professione. Elementi, per lo più teorici, di raccolta. La formazione è più complessa, prefigura un modello di comportamento anche intellettuale e morale. In questo caso è più corretto parlare di “formazione giornalistica”. Perché il giornalista non solo deve possedere gli strumenti, ma anche dare uno sguardo etico alla notizia. Deve valutarne le ricadute, sia sul lettore, sia sul soggetto della notizia. Lo studio che veramente serve è quello della meditazione, della pazienza di chi sosta per ore, come fa la volante della polizia, sui marciapiedi. E spesso un giovane diplomato ha più umiltà e pazienza di un laureato. Il giornalismo è soprattutto un fatto di sguardo. “Non basta avere delle buone idee. Ci vuole anche una buona tecnica”. Secondo lei, la buona tecnica quanto incide nell’instaurare un rapporto di fidelizzazione e credibilità con il lettore? S.: Oltre alla scrittura, esiste anche una tecnica che riguarda la deontologia. Mai pubblicare una notizia che non sia verificata. Cercare di raccogliere e confrontare più testimonianze possibili. Dopo una manifestazione riportare i dati dichiarati dai manifestanti, ma anche quelli della questura. Dare voce al manifestante che afferma di essere stato picchiato dal poliziotto, ma anche alla polizia, e al medico, con tanto di referto. Nelle interviste incalzare chi non risponde alle domande, chi elude i quesiti più scomodi. Diffidare del politico che risponde in maniera cumulativa alle domande per risparmiare tempo: di solito tende a glissare su ciò che non gli conviene. Se qualche risposta è fumosa, non aver paura di dire “non ho capito. Quando non si possiede un’informazione, ammettere il buco. Quando si commette un errore, riconoscerlo. Ma fare l’impossibile perché l’errore non accada: dev’essere l’eccezione, non la regola. Quando si critica, farlo sempre in buona fede, argomentando il proprio giudizio: mai farne una questione di gusto personale o di appartenenza politica. Evidenziare solo quando proprio è inevitabile il proprio punto di vista. Sempre senza acredine. Così si acquista e si mantiene la fiducia del lettore.“Se la notizia giornalistica deve presentare un interesse generale, bisogna domandarsi: da che cosa deriva questo interesse?”. Lei riesce sempre a darsi una risposta? S.: L’importante è non assecondare la pancia del lettore. Fare inchiesta non vuol dire cedere alla mania degli scoop. Una notizia è d’interesse generale quando la sua conoscenza genera un vantaggio per il massimo numero di lettori. Ad esempio, in un periodo di crisi, dire dove si possono fare acquisti a buon mercato. Raccontare che l’acqua di rubinetto può essere più sicura di quella in bottiglia e costare 1500 volte meno. Poi una notizia è d’interesse quando risponde al criterio di contrapposizione, o sfata dei luoghi comuni: ad esempio l’uomo che morde il cane. Purché non si calpesti la dignità delle persone. Chi sono gli autori Giuseppe Gallizzi - Una vita nelle istituzioni giornalistiche: Ordine dei giornalisti di Milano, Consiglio Nazionale Odg, Associazione Lombarda dei Giornalisti, FNSI, presidente della scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. Attualmente è presidente del Collegio dei Revisori dell’Ordine nazionale dei Giornalisti. Assunto da Franco Di Bella, ha lavorato per 35 anni al "Corriere della Sera" diventando caporedattore centrale fino al 2001. È stato per undici anni Presidente del Circolo della Stampa di Milano. Vincenzo Sardelli - Nato nel 1968. Si è laureato in filosofia e letteratura italiana all'Università Cattolica di Milano. Insegna italiano e storia nella scuola superiore. Giornalista dal 2000, ha collaborato con "Il Giorno", "La Notte" e "Campus". È critico teatrale delle riviste "Studi Cattolici" e "www.paneacquaculture.net". Si occupa anche di critica letteraria, filosofia e teologia.