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Mass media, le sfide dell’era Facebook

14/07/2016
di Angelo Marcello Cardani – Presidente Ag - Com*
La crisi di identità e di sostenibilità economica dei mezzi di comunicazione tradizionali, a partire dai giornali, non può essere banalmente spiegata come un pezzo della più generale crisi che affligge l’occidente. Quella dei media ha ragioni proprie, connesse con i processi di digitalizzazione e con l’erompere della rete nella vita dei cittadini. A fronte di questa crisi si erge il successo delle piattaforme digitali, dei social, degli aggregatori. Apple, Google, Facebook, Amazon sono i campioni della borsa nonché - qui sta il tratto innovativo - dell’informazione e della comunicazione.
di Angelo Marcello Cardani – Presidente Ag - Com*
La crisi di identità e di sostenibilità economica dei mezzi di comunicazione tradizionali, a partire dai giornali, non può essere banalmente spiegata come un pezzo della più generale crisi che affligge l’occidente. Quella dei media ha ragioni proprie, connesse con i processi di digitalizzazione e con l’erompere della rete nella vita dei cittadini. A fronte di questa crisi si erge il successo delle piattaforme digitali, dei social, degli aggregatori. Apple, Google, Facebook, Amazon sono i campioni della borsa nonché - qui sta il tratto innovativo - dell’informazione e della comunicazione. La struttura tendenzialmente oligopolistica dei mercati ove si muovono questi soggetti, sia nei comparti a monte (sistemi operativi, browser, apparati fissi e mobili), sia nei mercati a valle (motori di ricerca, social network, raccolta pubblicitaria online, e-commerce) crea problemi inediti di vigilanza e regolamentazione. Se condotta con equilibrio, lungimiranza e proporzionalità, sarà la sfida più avvincente dei prossimi anni. Ma non di sola crisi dobbiamo parlare per l’informazione classica. Il nuovo scenario reca anche molte opportunità. Certo, l’impresa editoriale ha vissuto stagioni esaltanti che oggi sono solo un ricordo. Ma da qui all’irrilevanza ce ne corre. Naturalmente non si può stare fermi. Occorre ricercare forme nuove di rapporto col pubblico, ibridare generi, rompere la sacralità del lavoro di redazione, «sporcarsi» le mani con la
rete; riorganizzare il mestiere dell’editore e del giornalista. Soprattutto è necessario ricercare maggiore efficienza ed economie di scala. L’annunciata fusione tra «Repubblica» e «Stampa» mi pare intenda testimoniare proprio questa volontà di non stare fermi. Bisogna guardare con attenzione, ma mai con sospetto ai processi di concentrazione. Essi rispondono a logiche economiche e di mercato in un contesto planetario sempre più globalizzato, dove la dimensione e le economie di scala sono funzione di ricerca di efficienza e razionalizzazione. Ciò è tanto più vero in quei mercati, come il comparto editoriale, che soffrono di un perdurante stato di crisi di ricavi e di vendite, ed in cui operano imprese di cui è in discussione la stessa sopravvivenza nel medio periodo. Naturalmente i mercati della comunicazione non sono mercati come gli altri. Vendere giornali o produrre televisione non è la stessa cosa che commercializzare abiti o cosmetici. Se entrano in gioco principi costituzionali come il pluralismo dell’informazione, è chiaro che le cautele del regolatore si moltiplicano. D’altra parte il nostro ordinamento ha molti strumenti per intervenire sulle concentrazioni lesive del pluralismo o della concorrenza. L’Italia sconta un ritardo complessivo di cultura e alfabetizzazione digitale rispetto ai Paesi più evoluti del pianeta. È chiaro che non avremo una vera rivoluzione digitale se continueremo a trascinarci a lungo una quota non irrilevante di popolazione in stato di analfabetismo digitale. Occorre far passare l’idea che la rivoluzione digitale cambia (può cambiare) la vita di tutti i cittadini. Naturalmente, la rivoluzione digitale di cui tutti parliamo ha un crescente bisogno di banda. I servizi digitali divorano bit e frequenze, e serve un disegno organico di infrastrutturazione tecnologica e di gestione dello spettro radioelettrico per assicurarne il buon esito. Un disegno che richiede piani pluriennali e impegno quotidiano per la loro attuazione. Senza questo sforzo sull’hardware, la rivoluzione digitale non sarebbe tale. L’accesso a internet ad alta velocità è naturale che diventi la nuova frontiera del servizio universale. Un accesso veloce, efficiente, neutrale ed a basso costo. A proposito di servizio pubblico radiotelevisivo, trovo retorica e un po’ provinciale la discussione sullo spezzatino della Rai. Preferisco, al limite, la provocatoria sfida intellettuale di chi dice: «Basta con i servizi pubblici radiotelevisivi ». In Europa, non c’è solo l’Italia ad avere un solo servizio pubblico radiotelevisivo. C’è il Regno Unito con la BBC e sistemi simili esistono in Francia, in Germania, in Spagna, per citare solo i casi più importanti. Se ci fossero soggetti disposti a entrare in concorrenza con la Rai, ed a candidarsi a siglare con lo Stato un patto per l’esercizio del servizio pubblico, non avrei riserve mentali verso un affidamento del servizio sulla base di una logica competitiva. Alla vigilia del rinnovo della concessione questo ragionamento può apparire puramente accademico. Tuttavia, mi piace chiarire il mio pensiero al riguardo. Nessuno deve sentirsi affidatario esclusivo e per l’eternità di un compito così delicato. Altra cosa è pensare di affidare pezzi di servizio pubblico ad una pluralità di soggetti diversi. Mi chiedo, chi - una volta affidate o aggiudicate le componenti di maggiore appeal del servizio pubblico - sarebbe disposto ad accollarsi i programmi di minore audience, le trasmissioni di garanzia e dell’accesso, le trasmissioni di servizio, le campagne di inclusione sociale? No, lo scenario dello spezzatino del servizio pubblico radiotelevisivo non mi sembra una soluzione praticabile.
  
*L’intervento è la sintesi dell’intervista del Presidente dell’Ag-Com al trimestrale Nuova Antologia