"Continuate a parlare del nostro povero Paese, continuate a raccontare le nostre storie e a fare suonare l’allarme quando serve".
Questa la preghiera che ci rivolge, al termine di una due giorni milanese, Solange Lusiku Nsimire la giornalista congolese alla quale UniCredit ha voluto assegnare il suo riconoscimento nell’ambito dell’ultima edizione del premio Ilaria Alpi.
La Repubblica Democratica del Congo "è un paese eccezionale, è un paradiso geologico -ricorda Solange-. È piena di ricchezze: oro, diamanti, legname pregiato, rame e dovrebbe essere protetto come un gioiello. Invece molti Paesi hanno grandi interessi su di noi e ci stanno mettendo le mani sopra… ".
Solange Lusiku, sposata, 42 anni, sei figli (più due adottati), vive a Bukavu dove edita e dirige Le Souverain, l’unico giornale della martoriata provincia del Sud Kivu. Un contesto impensabile ed incrdibile per chi non lo ha vissuto dove non esistono linee telefoniche fisse, non esiste un servizio di posta, l’acqua potabile è un "lusso" e le strade, quando sono asfaltate, renderebbero la vita dura a molti dei suv posteggiati davanti a molte scuole. La corrente elettrica c’è quando c’è tanto è che lei stessa ci dice che "in redazione, spesso salta la corrente e scriviamo gli articoli con le penne a sfera” e proprio per questo "sto cercando fondi per installare dei pannelli solari" perchè "senza una libera informazione non si cambia la storia”.
"La sicurezza delle persone in Congo è un bene raro. Morte e violenza solo all’ordine del giorno, la nostra democrazia è ancora molto fragile" spiega
Solange secondo la quale il Sud Kivu è "la regione della guerra, dei gruppi armati. La condizione femminile nell’Est del Congo è drammatica. Le bande armate, governative o ribelli, hanno fatto del corpo delle donne un campo di battaglia. Violentano chiunque capiti a tiro, dalle bambine di 21 mesi alle vecchie di 80 anni. Le più fortunate vengono accolte negli ospedali e sottoposte a diverse operazioni per ritrovare quel poco che resta della loro femminilità. Anche gli uomini vengono violentati dai gruppi armati. Un massacro silenzioso".
"Le bande armate fanno irruzioni nelle case di notte sterminando intere famiglie. Le milizie ruandesi violentano uomini, donne e bambini, anche di pochi mesi".
"C’è stato un momento -ci racconta nel suo elegante abito congolese dai colori sgarcianti- in cui i guerriglieri ruandesi hanno tentato di occupare la ricca regione del Kivu. I vescovi si sono opposti. Noi -prosegue Solange che ha cominciato la sua carriera nelle radio creandone alcune- abbiamo aperto i microfoni agli ascoltatori, raccontato tutto in diretta. Le milizie ci hanno sparato alle finestre, non so neppure come siamo scampati”.
"Dopo il liceo –ci racconta ripercorrendo la sua strada la vicepresidente dell’Union National de la Press della R.D.Congo- ho iniziato a trasmettere notizie e reportage con una radio libera della città. Poi mi sono sposata, e mi sono iscritta comunque all’università di Economia. Non ho fatto una scuola di giornalismo. Ho imparato sul campo". "Lavoravo per un’organizzazione umanitaria e incontravo molti reporter che mi chiedevano di parlare della condizione femminile nel Kivu. Così è cominciata la mia avventura".
"Fino al 2009 il lavoro era puro volontariato. Ho pagato di tasca mia. Dal 2009 ci ha aiutato l’organizzazione belga Rencontre des Continents. Avevano letto una copia del mio giornale, dimenticata in un albergo…".
"Io non ho paura" prosegue Solange, più e più volte minacciata di morte (l’ultima nel nostro Paese in occasione del suo recente soggiorno), sottolineando che "la cosa più importante è la sicurezza dei miei figli. Io ho scelto questo mestiere, non loro che spesso soffrono a causa del mio lavoro che faccio con passione". "Ho vissuto spesso in clandestinità con i miei cari -dice ancora-. L’anno scorso mi telefonavano dicendo: Sappiamo dove sei, dove vanno a scuola i tuoi figli, tra dieci minuti veniamo a prendervi! Ci sono notti in cui non riesco a dormire. Poi però torno al lavoro".
"Essere reporter nell’Est del Congo, è molto pericoloso" però "se tutti ci piegassimo alla violenza, che futuro lasceremmo alle generazioni dopo di noi?". "I giornalisti non corrotti vengono uccisi. Ma io resto –prosegue con determinazione Solange-. Questa è la terra che ci è stata donata. Qui abbiamo seppellito i nostri genitori. Qui ci sono ricchezze immense. Troveremo una via di pace”.
Le Souverain, il suo giornale che recentemente viene proposto anche in versione settimanale, "è un mensile scomodo, viene letto anche in altri Stati centroafricani. Parla di economia, di politica, di cultura, di diritti delle donne, delle violenze sui civili, di cui la comunità internazionale si disinteressa". "Ora stiamo costruendo una tipografia a Bukavu -dove non esiste un centro stampa, non ci sono pubblicazioni, non esistono edicole- ma mancano alcune macchine. Per stampare il giornale, dobbiamo andare ogni volta fino a Kampala, in Uganda, e le 1000 copie “scottanti”, che riportiamo indietro di nascosto, possono diventare la nostra tomba. "Ma -sottolinea con un filo di voce, come sempre- questo non è un buon motivo per smettere".
“Il nostro è un giornale che lotta per la democrazia. E una delle nostre battaglie più importanti è quella contro le violenze sessuali che interessano le donne. Stupri usati come armi da guerra, da banditi e rapinatori… una vergogna per il nostro Paese che deve essere combattuta con tutte le forze”.
Ci sono poi le multinazionali, attive in particolare nel settore minerario, più pericolose forse degli stessi guerriglieri e delle quali è "scomodo" parlarne e scriverne. Ma questo non ferma Solange che ha dedicato l’ultimo numero del suo giornale proprio ad una di queste titolando a tutta pagina "Luci ed ombre si confondono intorno a Banro Corp.".
"E’ paradossale -scrive nel suo editoriale Solange Lusiku su Le Souverain (sul quale, sotto la testata, campeggia la scritta La libertà di stampa: un diritto e non un regalo dei politici)- che la RDCongo venga presentata come uno scandalo geologico quando un altro scandalo viene commesso lì, sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale. Il peggiore di tutti. Quello della precarietà nella quale vive la sua popolazione, senza che nessuno muova un dito. Scandaloso è piuttosto il modo in cui vengono negoziati i contratti e le convenzioni per lo sfruttamento delle risorse minerarie nella RDCongo".
"Da noi non c’è libertà di stampa. I giornalisti spesso si fanno comprare perché costretti dalla povertà. Per questo c’è tanto ancora da fare in Congo. Questa è la nostra rivoluzione. La vita non è garantita, ma questo non è un buon motivo per smettere". "Io -ha detto durante l’incontro a Riccione- non ho nulla da insegnare alla stampa italiana, e non è vero che i giornalisti congolesi sono più coraggiosi di voi. Una cosa però chiedo alla informazione occidentale: continuate a parlare del nostro povero Paese, continuate a raccontare le nostre storie e a fare suonare l’allarme quando serve. La comunità internazionale deve essere continuamente sensibilizzata”.