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Social network, per i giornalisti una fonte in più (3ª parte)

04/09/2014
Spuntano all'improvviso come ragazzini dispettosi. A volte lasciano il segno o contengono una notizia importante; in altre fanno solo perder tempo. Ma intanto si moltiplicano obbligandoti a inseguirli e a interagire. Da un clic all'altro in un flusso continuo che non si ferma mai.
La carica dei social network è arrivata anche nelle redazioni dei quotidiani. E si fa sentire. Nelle due puntate precedenti, abbiamo parlato di come giornalisti e professionisti della comunicazione nel loro personale lavoro si stiano faticosamente attrezzando ai 140 caratteri e ai loro fratelli. Una sfida ancora aperta ma per poco: chi non si converte rischia di essere tagliato fuori. Come per i telefonini e i computer 20 anni fa. Sulle prime si resiste, invocando la nobiltà degli antichi strumenti di lavoro, poi ci si adegua per non finire in qualche museo insieme alla gloriosa Lettera 22.
Ma il problema si allarga. Da individuale diventa collettivo ed editoriale. E si allarga ai quotidiani online che, passati su internet, credevano di aver risolto tutto aprendo un sito, con una bella Homepage, che acchiappasse in rete i transfughi dalla copia cartacea.
E invece non basta. Non è un passaggio automatico. Nel web non valgono le stesse regole dei vecchi quotidiani. Come scrive in una inchiesta il Wall Street Journal, i "lettori-naviganti non sanno dove vogliono approdare". Vanno a zig zag arrivando, per vie traverse, dai motori di ricerca e dai social network.
Spesso, addirittura, non sanno neppure cosa sia quella famosa "testata", ma arrivano in meta solo grazie a una search su Google o attraverso un "mi piace "di Facebook o a un rimando di twitter.
Questa è la realtà, quindi. E i numeri parlano chiaro. Secondo un recente studio del Pew Research Journalism Project circa metà degli utenti adulti statunitensi di Facebook, leggono le news pubblicate dalle testate online passando solo dallo stesso Facebook. Inoltre solo il 34% dei consumatori di news, sempre su Facebook, ha un "like" a una pagina di un quotidiano online o di un giornalista. Insomma, la maggior parte degli utenti scopre le notizie in modo casuale, passando dalla rete dei propri amici e dai rimandi dei social.
E quindi? Che fare? L'unica soluzione, scrive Maria Bustillos del New Yorker, è di "interagire con i social. Considerarli una grande opportunità e non un nemico. "I social sono molto più rivoluzionari della rete. La rete infatti non dava l'interazione diretta e il flusso continuo. La rete è statica. I social invece ti mettono in movimento con chi ti legge diventando uno strumento di informazione e lavoro sempre aggiornato". Tradotto: Se sei bravo, governando professionalmente il flusso, questo strumento ti sarà riconosciuto dal lettore stesso.
Insomma, siamo alla vigilia di un passaggio epocale: un passaggio in cui i social sono la prima fonte di informazione che si consulta la mattina e l'ultima che si chiude prima di andare a letto alla sera. In pratica, diventano le nuove agenzie di stampa, con la differenza che si possono costruire profilandole sulle esigenze della testata o del giornalista.
Tutto si intreccia con i social. Il cronista diventa navigante e il navigante diventa giornalista. Non a caso tre giganti come il "New York Times", il "Washington Post" e "Mozilla"hanno siglato un accordo, finanziato con quasi 4 milioni di dollari dalla Knight Foundation, per costruire una nuova piattaforma che pubblichi e gestisca e i commenti. Una nuova comunità di lettori che i giornalisti devono imparare a conoscere per interagire in modo adeguato.