Nel 2009 le rassicurazioni alla vigilia del terremoto a L’Aquila, nel 2017 l’allerta su possibili altre scosse dopo la nuova sequenza nell’Appennino Centrale. E’ cambiata la comunicazione della Commissione Grandi Rischi ma non sono mancate le polemiche. Contenuti giusti ma forma sbagliata? Lo chiediamo a Stefano Cianciotta*.
La nota della Commissione Grandi Rischi e le affermazioni del presidente Bertolucci non pongono solo degli interrogativi sulla strategia e sulla competenza con la quale viene gestita la comunicazione di emergenza in Italia, ma anche sulla utilità della Commissione stessa.
Gli scienziati si riuniscono ogni tanto, e dopo il processo de L’Aquila hanno addirittura paura a pronunciarsi per evitare di incorrere nei procedimenti penali. Che senso ha mantenere in vita un organismo che sceglie deliberatamente di non decidere?
Quale dovrebbe essere la comunicazione del rischio? Come si può far crescere una cultura della prevenzione?
Il crisis management in Italia resta confinato ancora nel campo della probabilità. Investire sulla cultura e sulla percezione del rischio, invece, significa cominciare a prestare attenzione a questi temi, che per la loro intangibilità non creano le condizioni immediate e di breve periodo per avere consenso, ma che invece hanno un peso specifico rilevante anche per contribuire a mantenere in uso i costumi delle comunità locali ed elevare la coscienza civica dei cittadini.
Il terremoto ai tempi della rete spaventa ancor di più perché inizia un frenetico, e spesso incontrollato, scambio di informazioni. Quale dovrebbe essere il ruolo dei media tradizionali?
Il problema italiano rimane la frammentazione istituzionale, la mancanza di direttive chiare e cogenti uniformi sull’intero territorio nazionale. Dall’analisi del rischio potenziale alla sua divulgazione alla comunità locale il sistema della Pa deve cominciare a ragionare e pensare all’unisono, evitando di incorrere in inutili parcellizzazioni organizzative, che amplificano l’effetto negativo dell’emergenza. In questo senso i media svolgono un ruolo prezioso per superare le situazioni di crisi. Occorre però che non siano percepiti dalle istituzioni come antagonisti, ma come alleati fondamentali. Questo cambio di paradigma presuppone, però, che media e istituzioni si confrontino in sessioni continue di formazione, nelle quali, pur nella diversità dei ruoli, ognuno sappia in che modo contribuire alla risoluzione di situazioni di crisi.
Anche nella fase dell’emergenza la comunicazione è fondamentale. Quale rapporto tra le voci istituzionali e i giornalisti sul campo? In che modo le nuove tecnologie facilitano lo scambio di notizie con i cittadini e permettono di evitare la propaganda?
I social network sono fondamentali per attivare sistemi di ascolto. Segnalo l’esperienza di Terremoto Centro Italia, piattaforma costituita da una decina di professionisti della Pa, che dal 24 agosto offrono la propria consulenza gratuita di supporto alle istituzioni per la gestione della emergenza prima e del post-sisma adesso.
Che cosa manca alla comunicazione istituzionale? L’organizzazione ? la capacità di usare le nuove tecnologie?
Manca soprattutto l’organizzazione. La comunicazione strategica è un elemento dell’ organizzazione. Soprattutto in situazioni di crisi, nelle quali si misura se l’organizzazione si è preparata a gestire e pianificare potenziali rischi. La mancanza di organizzazione, infatti, si riflette in Italia anche sulle azioni di comunicazione e di informazione, che peccano ancora per l’assenza di una cabina di regia ordinata, e per una generale riluttanza a investire sulla cultura del rischio, che invece ha originato un patrimonio straordinario di resilienza nell’Europa del Nord, come nel caso di Rotterdam, e nella stessa New York dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Di recente Legambiente in un Rapporto ha affermato che solo tre Comuni su cento informano in Italia i cittadini su come prevenire e arginare i rischi. C’è ancora molta strada da fare.
La ricerca di scoop e spettacolo condiziona il racconto giornalistico, soprattutto quello televisivo?
La tragedia di Vermicino, grazie alla intuizione dell’allora direttore del Tg2 Ugo Zatterin, per la prima volta nel 1981 ha posto i media davanti al racconto continuo di un evento di cronaca. Zatterin, poi primo direttore de Il Centro, fu costretto a lasciare il suo incarico con l’accusa di avere spettacolarizzato la tragedia. Aveva inaugurato invece un nuovo modo di narrare un fatto di cronaca. Il sistema delle All News oggi si nutre di cronaca, e in casi del genere se il giornalista non ha sufficiente sensibilità e se non è preparato a gestire situazioni così complicate, può sfociare in racconti banali e in alcuni casi anche poco rispettosi del dramma. L’Ordine dei Giornalisti deve inserire nei corsi di aggiornamento e formazione la Comunicazione di Crisi e di Emergenza, perché sempre di più questi temi saranno strategici nella interlocuzione tra i media, i decisori e la pubblica opinione.
Dopo il terremoto del 2009 è cambiata l’informazione?
Otto anni fa Facebook era agli albori e Twitter non c’era. Le complessità di oggi devono fare i conti con i social network, e anche con una opinione pubblica che ha sempre meno fiducia nella istituzioni, nella politica e nei media tradizionali, e si confronta sempre di più in rete. Per questo c’è bisogno di informazione di qualità, che vada in profondità, e contribuisca a spiegare cosa sta accadendo.
*Stefano Cianciotta
Docente a contratto di Comunicazione di crisi aziendale all'Università di Teramo, insegna al Centro di Formazione del Ministero della Difesa, ed è Direttore Scientifico del Master in Comunicazione Pubblica e Istituzionale alla Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica di Perugia. Editorialista de Il Foglio e de Il Messaggero.