Newsletter

Tieniti aggiornato sulle nostre ultime novità!

Link

inpgi
casagit
fondo giornalisti
fieg
Garante per la protezione dei dati personali
murialdi
agcom
precariato

TRA INGLESE E…XCHE’

06/04/2017
La Dante Alighieri, l’Accademia della Crusca, qualche professore universitario di grido, ogni tanto ce lo ricordano.
Attenzione – dicono – la lingua italiana rischia di essere talmente “inquinata” che un giorno neanche troppo lontano sarà qualcosa di molto diverso da ciò che la grande tradizione linguistica degli ultimi secoli ci ha lasciato. La lingua del bel paese rischia di diventare una specie di slang o una sottosezione dell’inglese.
Leggete le righe che seguono.
“Una dramedy dei sentimenti, una storia potente, variopinta e multigenere, che fonde le tonalità del melò, del rosa contemporaneo, con quelle più gotiche del mistery e del giallo con venature paranormali”.
Ci avete capito qualcosa? Eppure è quanto è stato pubblicato da un grande giornale alla vigilia della messa in onda della fiction televisiva “Sorelle” che, fra l’altro, sta avendo ottimi
riscontri di pubblico su Rai 1.
Ciò che più sorprende non è solo il linguaggio oscuro, incomprensibile, contorto, ma l’uso inutile e grottesco di termini della lingua inglese che anziché aiutare nella comprensione rendono il testo del tutto estraneo ad un buon prodotto giornalistico.
Che sta succedendo in Italia? Perché si ricorre sempre più frequentemente a termini anglo-americani del tutto estranei alla nostra cultura? Perché, si scrive “mistery” piuttosto che mistero? E il dramedy, sapete cos’è il dramedy?
Perché un grande giornale pubblica frasi di questo genere quando, fra l’altro, sa perfettamente che a leggerlo ci sono molte persone un po’ più avanti negli anni e quindi abbastanza estranee a questi modi di esprimersi? E’ “eticamente” corretto che un mezzo di informazione rivolto a tutti scelga una strada ai più incomprensibile?
“Ma oramai è diventata la norma” risponderebbe la maggior parte dei direttori di testate giornalistiche, più per essere alla moda piuttosto che al servizio dei lettori. Anche se in realtà è frequente, a tutti i livelli, alterare quella lingua così armoniosa e così ricca di termini che è l’italiano.
Che in verità non conoscono più neanche le aspiranti maestre se è vero che, ad un recentissimo concorso per insegnanti, è stata considerata inidonea la stragrande maggioranza di esse. Un esempio? C’è stato chi ha scritto “xchè” anziché “perché”.
Allora che fare? La ricetta è semplice: bisogna tornare a scrivere in italiano, nel modo più semplice possibile, costruendo la frase come indica la vecchia ma sanissima grammatica. Quanti testi, oggi, non seguono queste strade? Quante volte troviamo una “a” senza la dovuta “h” o viceversa? Quante volte troviamo un testo infarcito di termini inglesi se non, addirittura, intere frasi senza la dovuta traduzione? Un po’ quello che accadeva decenni fa con le inutili ed ampie citazioni latine che davano tanto la patente di acculturato!
 Insomma c’è molto da fare. O meglio: basta tornare indietro a quando il caporedattore di turno faceva riscrivere il testo perché non era sufficientemente chiaro.
A proposito per chi non lo sa “dramedy” significa un qualcosa metà dramma e metà commedia.