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Tribunale di Milano: le dimissioni non interrompono il procedimento disciplinare

04/02/2008

Con sentenza n. 1161/2008 depositata il 29 gennaio 2008, il Tribunale di Milano ha respinto “il ricorso di Renato Farina, con integrale conferma della decisione n. 27 del 29 marzo-17 aprile 2007 del CNOG, di radiazione dello stesso Farina dall’Ordine dei giornalisti. Il Tribunale ha respinto tutti i motivi di ricorso, pienamente accogliendo le argomentazioni della difesa del Consiglio nazionale.

 

Nella sua decisione il Tribunale ha formulato importanti principi di diritto.

 

In primo luogo ha confermato l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto alle vicende del rapporto di iscrizione del giornalista con l’Ordine: le dimissioni (comunque definite o articolate) non possono interrompere il procedimento disciplinare, fra l’altro perché – dato anche il diverso effetto di (auto)cancellazione e di radiazione – se così fosse “risulterebbe possibile giustificare in via generale l’artificiosa immunizzazione di qualunque iscritto ad ordini professionali rispetto a qualunque procedimento disciplinare”.

 

In secondo luogo il Tribunale ha respinto l’eccezione di pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare, “poiché la decisione di questa controversia non dipende affatto dalla decisione del giudice penale……. Dalla sua lettura emerge con chiarezza come l’addebito contestato al Farina in sede penale fosse quello di aver aiutato personale del Sismi a eludere le investigazioni dell’autorità giudiziaria anche mediante la diffusione di false informazioni – delle quali per giunta l’imputato sollecitava la pubblicazione – e mediante il tentativo di acquisire illecitamente notizie sul procedere delle indagini penali stesse.

 

Per contro l’addebito disciplinare (qui esaminato)  si sostanzia  nella compromissione dell’indipendenza della funzione giornalistica, condotta che peraltro è stata materialmente confessata dal Farina in questo procedimento.

 

Risulta insomma arduo sostenere che la decisione penale dovrebbe costituire l’antecedente logico rispetto alla sanzione disciplinare, sicché l’eccezione deve essere senz’altro respinta”.

 

Infine, nel merito, il Tribunale ha osservato a proposito della condotta di Farina, che essa “contrasta con palmare evidenza, con il principio di autonomia e libertà  della professione giornalistica stabilito dall’art.1 del contratto nazionale del lavoro giornalistico, con la libertà di  informazione consacrata nell’articolo 2 della legge professionale numero 69 del 1963, con il divieto di compromettere la reputazione del giornalista e la dignità dell’Ordine previsto dall’art. 48 della stessa legge professionale, con i più generali principi di rispetto della verità sostanziale dei fatti, della buona fede e della lealtà, con il dovere generale di rimuovere la fiducia tra la stampa e i lettori, come previsto dalla Carta dei doveri del giornalista.

 

Anche un’attività saltuaria in favore dei servizi segreti (vietata espressamente e direttamente, per tutti i giornalisti professionisti, dalla legge numero 801 del 1977, art. 7) comporta evidentemente la violazione dell’obbligo, gravante sul giornalista, di  esercitare la sua professione di modo esclusivo: anche sotto questo profilo, perciò, gli addebiti disciplinari contenuti nella contestazione del 6 luglio 2006, risultano pienamente infondati.

 

Il fatto che l’incolpato abbia accettato incarichi (anche soltanto sporadici o del tutto occasionali), per giunta remunerati, palesemente idonei a condizionare la sua autonomia e la credibilità professionale anche soltanto in riferimento alla natura soggettiva e agli scopi del soggetto da cui gli incarichi provenivano, non ha solo irrimediabilmente compromesso il decoro e la dignità professionale di chi quel fatto ha commesso, ma ha al tempo stesso arrecato danno alla dignità dell’Ordine professionale.

 

Risulta dunque davvero difficile comprendere quale minore sanzione potrebbe apparire proporzionata alla gravità dell’illecito, che si è sostanziato nel tradimento della professione giornalistica e nell’asservimento di essa ai servizi segreti, con gravissima lesione del rapporto di fiducia tra i mezzi di informazione e il pubblico che ne è destinatario”.

 

Alla soccombenza è seguita la condanna alle spese di lite.