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Tutti pazzi per i social: i giornalisti (se li sanno usare) hanno una fonte in più

30/05/2014
Ma tu stai su Twitter e su Facebook? O pensi che i social siano solo "rumori"?

Sono domande che, in questi tempi di news digitali, suscitano un dibattito infinito. C'è chi non può farne a meno, e clicca anche di notte; e c'è chi non ne vuole sapere. Per allergia al mezzo, certo, ma anche per scelta consapevole.
 
Pazienza se uno di mestiere fa il farmacista o l'elettricista. Ma un giornalista? Può ancora permettersi un professionista della comunicazione di non interagire con i social? Può permettersi, un cronista politico, di non essere un follower di Renzi o Alfano? Può un inviato ignorare il messaggio su Facebook scritto dall' autore del delitto di Santhià? Può un cronista sportivo ignorare l'ultimo tweet di Mario Balotelli o Mauro Icardi?
 
Sono solo annunci, polemiche da 140 caratteri, insulti da Bar Sport, dicono gli apocalittici. Non è vero. Spesso sono "la notizia", replicano i colleghi sempre attivi sulla piattaforma. Non tenerne conto, vuol dire essere tagliati fuori.
 
E quindi? Che fare in questa Nuova Era digitale, dove le sacre regole (privacy, diritto di cronaca) sembrano reperti del Paleolitico ?
"Bisogna prendere atto dei mutamenti " dice Daniele Bellasio, social media editor al Sole 24 ore e conduttore di "RadioTube".
"Noi giornalisti adesso lavoriamo nei giornali e usiamo i social. Tra poco lavoreremo nei social e useremo i giornali. Twitter e gli altri sostituiranno le agenzie. Agenzie che ognuno si costruirà sul proprio profilo professionale. Valutando bene l'autorevolezza delle fonti..."
Ma non c'è il rischio di essere sommersi da una valanga di cinguettii inutili?
 
La prima qualità, si consiglia, è quella di saper selezionare. Come in casa non puoi tenere tutti i libri, ma fare una scrematura, così in rete bisogna togliere i "rumori", fare delle scelte. "Lo strumento delle liste, dice ancora Bellasio, ti permette di creare dei giardinetti di informazione: di persone e di fonti che vai a consultare quando è necessario. Se un giornalista per una settimana deve occuparsi di viaggi, in quel periodo, in quelle liste specifiche, troverà le notizie che gli servono".
 
Lo sport è un settore molto praticato dai social. I tifosi attivi sulla piattaforma di Facebook sono 500 milioni nel mondo, quasi 15 milioni in Italia, cioè il 60% degli italiani che si sentono in diritto di mettere per iscritto cosa pensano degli ultrà, del calcio mercato, di Valentino Rossi. Quello che una volta si diceva al bar sport, ora rimbalza sulla piattaforma. Molte polemiche sono inutili ma si può ignorarle?
Ci sono colleghi illustri che si ribellano. Michele Serra denuncia un falso Michele Serra che twitta a suo nome. E che un altro, da una falsa pagina Facebook, lancia insulti e invettive.
 
Come reagire? Serra riporta il consiglio di un navigatore dei social. Che avverte: e' pericoloso sul web lasciare libera la propria identità. Qualcuno prima o poi la riempirà. Amara conclusione dello stesso Serra: "Esiste ancora la liberà di non avere una pagina Facebook o un profilo Twitter? Non basta quello che già scrivo?
Il presidente Obama ha 43 milioni di followers. Papa Francesco più di un milione e mezzo. Jovanotti arriva a 2 milioni, il doppio di Renzi. Un autore come Salman Rushdie solo 600 mila. Insomma, un grande scrittore tira meno di una rockstar. Anche per questi personaggi bisogna saper fare delle scelte.
 
Qualcuno, che conosce bene la rete, mette in guardia. Si chiama Ryan Holiday e nel suo libro ("Credimi sono un bugiardo: confessioni di un manipolatore di media", Hoepli) esalta l'abilità dell'autore nel servirsi dei media digitali. E dice che l'unica verità è quella del numero dei clic e della pagine viste. " Ci sono volte in cui chiedo a un amico di diffondere una storia sul suo blog, altre in cui la fabbrico io stesso. Lo scopo è sempre lo stesso sfruttare l'economia di internet per modificare la percezione pubblica e vendere prodotti..."
 
Insomma, ci vuole cautela. E ricordare che il mondo della rete, non è ancora tutto il mondo.